Partita Iva: quale regime fiscale conviene scegliere

Prima o poi il momento arriva: occorre aprire la partita Iva. E la domanda che subito ci si pone è: quale regime scegliere? Ordinario o forfettario? Ovviamente non c’è una risposta che vada bene per tutti. Ci sono, invece, regimi fiscali diversi per andare incontro a differenti volumi d’affari, con una gestione più semplice per ditte individuali o liberi professionisti all’inizio della loro attività. La scelta andrebbe fatta chiedendo a un commercialista preparato quale possa essere la soluzione più adatta rispetto all’attività che si vuole svolgere. Bisognerà individuare non solo il regime fiscale, ma anche il codice Ateco e la cassa di previdenza di riferimento.

Quando la ritenuta d’acconto non basta più

Prima di aprire la Partita Iva, si può svolgere l’attività di lavoro autonomo, utilizzando la prestazione occasionale. Ci sono, però, dei limiti da rispettare: l’attività deve appunto avere requisiti di occasionalità e non continuità; non può riguardare un’attività che già viene svolta in modo professionale; non ci deve essere alcun legame di subordinazione con il committente che ha commissionato il lavoro; e non può essere un ecommerce, perché in questo caso serve aprire sin da subito la Partita Iva.

La scelta del codice Ateco

Ancora prima di definire il regime fiscale, è bene individuare il proprio codice Ateco. Si tratta di un codice che viene usato per classificare le diverse attività che possono essere svolte in forma autonoma. L’architetto, l’avvocato, il grafico: ogni professione e attività ha un proprio codice Ateco che è importante indicare nella domanda di apertura della Partita Iva. È fondamentale perché, soprattutto con il regime forfettario, sulla base del coefficiente di redditività associato si definisce la percentuale su cui calcolare le tasse da pagare. Sempre il codice Ateco servirà anche per determinare la cassa previdenziale alla quale versare i contributi. Nel caso di un professionista iscritto a un ordine, sarà la cassa privata di riferimento, diversamente sarà la gestione dell’Inps.

Scegliere la cassa previdenziale

Chi apre la Partita Iva, oltre alle tasse – che variano in base al regime fiscale scelto – dovrà anche versare i contributi previdenziali. Ci sono professionisti, iscritti a un ordine professionale, che sono obbligati a versare i contributi previdenziali alle loro casse di riferimento. Per esempio, psicologi, avvocati, giornalisti. Ogni cassa privata ha le sue regole per i versamenti. I professionisti che non hanno una cassa dedicata dovranno versare i contributi alla gestione separata Inps, con una percentuale che viene applicata al guadagno. I commercianti e gli artigiani, in generale i lavoratori autonomi, dovranno versare i contributi alle relative casse gestite dall’Inps ma, in questo caso, sono previsti anche dei contributi minimi da versare, indipendentemente dal fatturato.

 

Quale regime fiscale scegliere?

Il prossimo passo per chi ha deciso di aprire la Partita Iva è quello di individuare il regime fiscale più adatto, tra quello ordinario e forfettario. La scelta dipende prima di tutto dal volume d’affari. Il regime forfettario può sfruttare una tassazione particolarmente conveniente (5% o 15%) ma non può essere scelto per attività che hanno incassi di ricavi e compensi superiori a 65mila euro all’anno. In questo caso bisognerà optare per il regime ordinario che, a sua volta, prevede il regime ordinario semplificato.

Il regime ordinario

La scelta del regime fiscale ordinario è l’unica consentita per società di capitali e per le società di persone e ditte individuali che, nell’anno precedente, hanno conseguito ricavi superiori a 400mila euro per le attività di prestazione di servizi; 700mila euro negli altri casi. La tassazione del regime ordinario fa riferimento alle aliquote Iperf quando ad applicarlo è una persona fisica socia di società di persone o di capitali in regime di trasparenza o una ditta individuale. È possibile “scaricare” le spese sostenute che vanno quindi scalate dall’imponibile per intero oppure con una percentuale che dipende dal tipo di spesa.

 

Il regime semplificato

Le società di persone e le ditte individuali che, nel corso dell’anno solare, hanno prodotto ricavi inferiori a 400mila euro per le prestazioni di servizi e 700mila euro per tutte le altre attività possono scegliere il regime semplificato che, a differenza di quello ordinario, implica una burocrazia più leggera. Per i liberi professionisti non è presente alcun limite di ricavi per la scelta del regime semplificato. La tassazione, in base alle aliquote Irpef, è la stessa del regime ordinario. I contribuenti che hanno scelto il regime ordinario o semplificato devono rispettare diversi adempimenti nel corso dell’anno. Nella contabilità ordinaria: registri Iva, libro giornale, registro dei beni ammortizzabili, libro inventari e libro soci. In quella semplificata solo registri Iva e registro degli incassi e dei pagamenti.

Come gestire la contabilità

La dichiarazione dei redditi si presenta una volta all’anno, la dichiarazione delle liquidazioni periodiche Iva ogni tre mesi. C’è l’obbligo della fatturazione elettronica. Un’altra differenza tra il regime ordinario e quello semplificato riguarda la modalità di determinazione del reddito: nella contabilità ordinaria avviene mediante il principio di competenza (costi e ricavi devono essere contabilizzati nel momento in vengono maturati), mentre nella contabilità semplificata la determinazione avviene mediante il principio di cassa. Vuol dire che costi e ricavi vengono registrati in contabilità nel momento in cui si pagano o incassano.

Il regime forfettario

Per i professionisti che hanno avviato da poco la propria attività, la scelta del regime forfettario è quella più conveniente. Abbiamo spiegato in questo articolo quali sono le caratteristiche e chi può sceglierlo. In sintesi, con il regime forfettario si paga un’imposta sostitutiva con aliquota al 15% o al 5%, in caso di nuove attività per i primi cinque anni. L’imposta non si applica sul totale delle fatture incassate, ma sull’imponibile fiscale che si ricava con il coefficiente di redditività. Per esempio, un architetto (codice Ateco 71.11.00) ha un coefficiente di redditività al 78%. Quindi, se incassa in un anno 35mila euro, l’imponibile fiscale sarà di 27.300 euro (35mila x 78%), a cui andrà poi sottratta la somma da destinare alla previdenza, prima di moltiplicare per l’aliquota da versare del 15%. I forfettari non versano l’Iva, nessun obbligo di registrazione delle fatture e delle note spesa, esonero da studi di settore ed esterometro e nessuna applicazione di ritenute alla fonte. La fattura elettronica non è obbligatoria, ma lo sarà in futuro.