Dichiarazione dei redditi e 730, tutte le scadenze 2020

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Siamo ormai ufficialmente entrati nella stagione calda delle dichiarazioni dei redditi. Non c’è scampo, bisogna regolare i rapporti con il Fisco e comunicare quanto abbiamo guadagnato nel 2019, per saldare i conti: chi avrà un credito riceverà il saldo in busta paga, nel caso si disponga di un sostituto d’imposta; diversamente chi si ritroverà a debito, potrà decidere di pagare con l’addebito in busta paga, o anche a rate.

A causa del coronavirus, però, quest’anno le scadenze sono cambiate.

Vediamo quali date è bene cerchiare sul calendario per rispettare i termini di presentazione del modello 730 oppure della dichiarazione dei redditi.

Come cambiano le scadenze fiscali

La scadenza per la presentazione del modello 730 precompilato passa da 23 luglio al 30 settembre 2020. Slitta dal 30 settembre al 10 ottobre il termine ultimo per comunicare al proprio datore di lavoro l’eventuale riduzione del secondo acconto Irpef dovuto. L’acconto dovrà comunque essere versato entro il 15 novembre.

Si tratta di una proroga del termine di scadenza, è possibile ovviamente presentare il modello 730 anche prima: il 30 settembre è il termine ultimo utile, sia che lo si consegni al datore di lavoro sia che si proceda tramite Caf, ma anche se si decide di compilarlo in maniera autonoma direttamente dal sito dell’agenzia delle Entrate.

Le scadenze per i Caf

Una volta consegnata al Caf la documentazione per la compilazione del modello 730, dal mese successivo si può cominciare a ricevere il rimborso in busta paga, in caso di un credito con il Fisco, o farsi trattenere le imposte dovute, per chi si trova invece a debito.

È evidente che chi deve ricevere dei soldi dall’agenzia delle Entrate, è incentivato a presentare la dichiarazione il prima possibile. Chi deve invece mettere mano al portafoglio, complice anche la crisi da Covid-19, potrà aspettare settembre per trasmettere il 730. In quest’ultimo caso è bene valutare la possibilità di rateizzare il debito che viene limitata con la presentazione in prossimità della scadenza.

Le scadenze per la dichiarazione dei redditi

I contribuenti che non hanno i requisiti per presentare il 730, ossia non hanno un reddito da lavoro dipendente o redditi assimilati, devono presentare la dichiarazione dei redditi ordinaria.

Si tratta di contribuenti che nel 2019 hanno avuto redditi di impresa o redditi da lavoro autonomo per i quali serve la partita Iva e redditi “diversi” non compresi tra quelli inseribili nel modello 730.

La scadenza dei versamenti è attualmente fissata al 30 giugno 2020, anche se da più parti si auspica una proroga almeno a fine settembre. La scadenza per la presentazione telematica del modello è fissata al 30 novembre 2020.

In caso di errori, chi è responsabile?

È il terrore di ogni contribuente: sbagliare qualcosa nella dichiarazione dei redditi e ricevere una lettera dell’Agenzia. Fino all’anno scorso, in caso di incongruenze o omissioni, l’agenzia delle Entrate scriveva direttamente al contribuente, anche se il modello era stato presentato da un Caf o un commercialista.

Il nuovo modello 730 precompilato con i dati dell’agenzia delle Entrate introduce una novità: la responsabilità per gli errori nella compilazione del 730 ricade sugli intermediari.

Il Caf o il commercialista che presta assistenza deve apporre il “visto di conformità” sul modello 730, e così diventa responsabile in caso di errori o dichiarazioni errate. L’agenzia delle Entrate, quindi, si rivolgerà direttamente al Caf o al commercialista se dovesse riscontrare delle difformità.

Resta la possibilità, in caso di errori, da parte del Caf, del commercialista e del contribuente, di presentare un 730 integrativo, entro il 25 ottobre. In questo caso, il Caf o il professionista dovrà pagare la sanzione (ridotta ad 1/8 con il ravvedimento operoso), mentre gli interessi di mora restano a carico del contribuente.

Decreto Rilancio: le misure a sostegno di liberi professionisti, partite Iva e imprese

Milano, Duomo

Dopo il decreto Cura Italia e il decreto liquidità, arriva finalmente il decreto Rilancio. Si tratta di un pacchetto di misure da 55 miliardi di indebitamento e 155 miliardi in termini di saldo netto da finanziare. Un testo omnibus, con più di 250 articoli, che rifinanzia molte delle misure del Cura Italia, ma introduce anche nuovi aiuti per famiglie, lavoratori e aziende per affrontare la crisi, a seguito della chiusura prolungata causata dal coronavirus.

Bonus 600 euro per partite Iva

Per il mese di aprile, come già avvenuto a marzo, i 600 euro vanno a professionisti non iscritti agli ordini, co.co.co in gestione separata, artigiani, commercianti, coltivatori diretti, stagionali dei settori del turismo e degli stabilimenti termali, lavoratori del settore spettacolo e lavoratori agricoli. Chi lo ha già ottenuto a marzo, se lo ritroverà accreditato in automatico per il mese di aprile.

A maggio, il bonus può salire fino a 1.000 euro, ma non per tutti. Per richiederlo bisogna rispettare determinate condizioni: i titolari di partita Iva, ancora attiva il 19 maggio, devono aver conseguito un fatturato e dei corrispettivi nel mese di aprile 2020 inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019. Il contributo spetta anche in assenza del calo di fatturato per chi ha iniziato l’attività a partire dal 1 gennaio 2019.

I professionisti iscritti a ordini professionali, come per il mese di marzo, dovranno rivolgersi alla propria cassa di previdenza per ottenere il bonus per i mesi di aprile e maggio, attingendo dal reddito di ultima istanza, che viene potenziato di 850 milioni du euro, arrivando così a 1.150 milioni di euro. La cifra del bonus sarà resa nota da un successivo decreto del ministro del Lavoro, insieme a quello dell’Economia, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento.

Stop ai licenziamenti e cassa in deroga più veloce

Viene prorogato il blocco dei licenziamenti per altri tre mesi. Sospese anche le procedure dei licenziamenti collettivi e individuali per motivo oggettivo in corso. La procedura per la Cassa in deroga diventa più veloce, con la possibilità per il datore di lavoro di rivolgersi direttamente all’Inps che erogherà un anticipo dell’assegno del 40 per cento, entro 15 giorni dall’arrivo della richiesta. La cassa integrazione per l’emergenza coronavirus può essere utilizzata dai datori di lavoro per una durata massima di nove settimane, per il periodo dal 23 febbraio al 31 agosto 2020.

Cancellata l’Irap per le aziende e autonomi

Il decreto Rilancio prevede la cancellazione del saldo e acconto Irap per tutti fino a 250 milioni di fatturato. La cancellazione della rata di giugno (saldo e acconto) riguarda tutte le imprese fino a 250 milioni di euro di fatturato e i lavoratori autonomi con un corrispondente volume di compensi. La norma prevede l’esenzione del versamento del saldo Irap dovuta per il 2019 e della prima rata, pari al 40 per cento, dell’acconto dell’Irap dovuta per il 2020 dalle imprese con un volume di ricavi compresi tra 0 e 250 milioni e dai lavoratori autonomi con gli stessi compensi. Resta l’obbligo di versamento degli acconti per il periodo di imposta 2019.

Indennizzi a fondo perduto per le piccole imprese (ma non per i professionisti)

Tra le misure di sostegno per le piccole imprese, compresi i lavoratori autonomi titolari di partita Iva o di reddito agrario, sono previsti contributi a fondo perduto con una doppia condizione di accesso e rispettando una tempistica precisa: per ottenere l’indennizzo i soggetti interessati devono presentare un’istanza, esclusivamente online, all’Agenzia delle Entrate entro 60 giorni dall’avvio della procedura telematica per la trasmissione delle domande. Il provvedimento contenuto nel Dl Rilancio prevede un giro d’affari annuo nel 2019 inferiore ai 5 milioni di euro e una perdita del fatturato o dei compensi, tra aprile 2020 e lo stesso mese del 2019, di almeno un terzo.
L’ammontare dell’indennizzo viene calcolato applicando una percentuale alla differenza di fatturato registrata che sarà del 20% per i soggetti che nel 2019 hanno registrato ricavi o compensi al di sotto dei 400mila euro; del 15% sopra i 400mila euro e fino a un milione di euro; 10% oltre un milione di euro e fino a 5 milioni. Sono esclusi dai contributi a fondo perduto i professionisti ai quali spetta l’indennizzo da 600 euro dell’Inps, o quello erogato dalla propria cassa di previdenza professionale.

Taglio in bolletta per le Pmi e bonus affitto

Il decreto Rilancio prevede sconti in bolletta per tre mesi per le Pmi. Il taglio si attua con una rimodulazione delle componenti fisse della bolletta, come i costi di trasporto e gestione del contatore e gli oneri generali, per tutti i clienti non domestici alimentati in bassa tensione. Tra le misure di sostegno previste del decreto, quella che riguarda il bonus affitti prevede un credito d’imposta del 60% sul canone d’affitto che si estende a tutte le locazioni commerciali, e sarà riconosciuto per i mesi di marzo, aprile e maggio 2020. I vari crediti di imposta introdotti dal Dl Rilancio, tra cui il nuovo ecobonus del 110%, possono essere utilizzati dal beneficiario in compensazione, ossia ceduti ad altri soggetti in caso di incapienza o altre difficoltà nell’utilizzo del rimborso fiscale.

Il bonus affitto, quindi, potrà essere ceduto anche alle banche, consentendo così la trasformazione del credito fiscale in un rimborso monetario. Resta ancora da chiarire se sarà possibile cedere il credito al proprietario dell’immobile: spetterà all’agenzia delle Entrate definire i soggetti ai quali sarà possibile cedere il bonus affitto del 60%. Il credito di imposta, in caso di contratti di servizi a prestazioni complesse o di affitto d’azienda”, riporta il testo del Dl Rilancio, “comprensivi di almeno un immobile a uso non abitativo destinato allo svolgimento dell’attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, di interesse turistico o all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo, spetta nella misura del 30% dei relativi canoni”.

Rinvio delle tasse

I versamenti delle ritenute, dell’Iva e dei contributi già rinviati con il decreto Cura Italia e con il decreto Liquidità, vengono differiti al 16 settembre. In via generale, i versamenti di febbraio potevano essere prorogati sulla base delle condizioni soggettive del contribuente, mentre quelli di marzo e di aprile potevano essere rinviati in presenza di un calo di fatturato, per le aziende che rientrano tra le filiere maggiormente colpite o sono nelle province dichiarate zona rossa dall’inizio della pandemia. A settembre si potrà pagare in un’unica soluzione, oppure in quattro rate di pari importo. I pignoramenti sugli stipendi e pensioni sono sospesi fino al 31 agosto 2020 ed è prevista nelle norme del Dl Rilancio anche la sospensione dei pagamenti per avvisi bonari e di accertamento che potranno essere effettuati entro il 16 settembre per i pagamenti in scadenza tra l’8 marzo e il 31 maggio.

Reddito di emergenza

Il sussidio è al momento previsto per due mesi e varia da 400 agli 800 euro, in base il numero di persone del nucleo familiare. Per ottenere il reddito di emergenza bisogna presentare la domanda all’Inps entro giugno, attraverso un modulo online, disponibile sul sito dell’Istituto di previdenza, oppure attraverso Caf e patronati. I requisiti per avere accesso al reddito comprendono la residenza in Italia, l’Isee inferiore a 15mila euro e un reddito familiare ad aprile 2020 inferiore al sussidio che si otterrebbe, diversamente si ha diritto solo all’integrazione fino al raggiungimento della soglia.

Smart working

Nel decreto è prevista la possibilità per i genitori dipendenti del settore privato, con almeno un figlio minore di 14 anni, di svolgere lavoro agile da remoto fino al termine dello stato di emergenza. Ci sono due condizioni da rispettare: in famiglia non deve esserci un altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito e nel nucleo familiare non deve esserci un genitore non lavoratore.

Bonus mobilità

Il contributo arriva fino a 500 euro e ha valore retroattivo per gli acquisti effettuati dal 4 maggio. Il bonus si può spendere per comprare biciclette, anche con pedalata assistita, monopattini anche elettrici, segway e hoverboard, così come per i servizi di sharing mobility. Il bonus si può utilizzare anche per comprare mezzi usati, ma non per acquistare gli accessori. I destinatari sono i residenti maggiorenni dei Comuni con almeno 50mila abitanti, capoluoghi di Provincia, Regione e Città metropolitane. Il ministero dei Trasporti metterà a disposizione un sito web, o una app, a cui si potrà accedere tramite Spid (identità digitale), che dovrà essere operativo entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto in Gazzetta. Per ottenere il bonus bisogna conservare il giustificativo di spesa (fattura, non basta lo scontrino) e allegarlo all’istanza da presentare via web. Quando sarà possibile accedere al portale, è previsto lo sconto diretto da parte del fornitore, sulla base di un buono digitale di spesa, da consegnare al rivenditore per avere immediatamente lo sconto, che arriva fino al 60% della spesa, per un massino di 500 euro.

Il testo completo del decreto Rilancio in .pdf: Gazzetta Ufficilale

Prestiti con garanzia dello Stato: chi può richiederli e come fare

Prestiti con garanzia dello Stato: chi può richiederli e come fare
L’Italia prova a tornare alla normalità, con la fine del lockdown e la progressiva riapertura delle attività produttive. Il blocco causato dal coronavirus, però, sta avendo pesanti ripercussioni sull’economia e sul lavoro. Il governo è intervenuto con provvedimenti e misure contenute principalmente in tre decreti: il decreto Cura Italia, con misure a sostegno dei redditi delle famiglie e lavoratori, il Decreto liquidità imprese e il Decreto Rilancio, l’ultimo approvato, atteso per aprile ma arrivato a metà maggio, con ulteriori misure di sostegno ai lavoratori e aziende. Il decreto imprese prevede 200 miliardi di euro per il mercato interno e altri 200 miliardi per l’export. Il governo, quindi, mette a disposizione 400 miliardi di euro per supportare le imprese.

Decreto imprese: cosa prevede

Tra le misure previste, quella più significativa riguarda nuovi finanziamenti alle imprese, che potranno richiedere dei prestiti con la garanzia dello Stato. Nel decreto imprese, pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’8 aprile, è prevista anche la sospensione di tasse e contributi (per i mesi di aprile e maggio) e golden power rafforzato. Nelle intenzioni del governo c’è la volontà di semplificare le procedure per accedere ai finanziamenti, grazie al Fondo centrale di garanzia, con l’utilizzo esteso anche alle imprese fino a 499 dipendenti. In Fondo agirà su tre linee principali:

Garanzia al 100% per i prestiti di importo non superiore al 25% dei ricavi fino a un massimo di 25mila euro, senza alcune valutazione del merito del credito. In questo caso le banche potranno erogare i prestiti senza attendere l’ok del Fondo di Garanzia;
Garanzia al 100% (di cui 90% Stato e 10% Confidi) per i prestiti di importo non superiore al 25% dei ricavi fino a un massimo di 800mila euro, senza valutazione andamentale;
Garanzia al 90% per i prestiti fino a 5 milioni di euro, senza valutazione andamentale.

Per le grandi imprese, infine, interviene la garanzia di Sace, società che fa capo a Cassa Depositi e Prestiti.

La garanzia di Sace per imprese medio grandi

Per le imprese medio grandi, comprese le Pmi, l’importo massimo di garanzie sarà pari a 200 miliardi di euro. La soglia del prestito è pari al 25% del fatturato 2019 e la garanzia copre il 90% per imprese con più di 5mila dipendenti e fatturato tra 1,5 e 5 miliardi; il 70% per imprese con fatturato oltre i 5 miliardi, con un tasso di interesse compreso tra lo 0,25 e lo 0,50%.

La garanzia per le Pmi

A poter beneficiare della garanzia totale a copertura di nuovi finanziamenti saranno le sole Pmi con ricavi fino a 3,2 milioni di euro, e per prestiti fino al minor importo tra il 25% del fatturato e 800mila euro. Il 100% di garanzia si otterrà solo in forma mista, con il 90% garantito dallo Stato e il 10% da Confidi, senza istruttoria. La garanzia totale è prevista anche per prestiti concessi alle Pmi con fatturato fino a 800mila euro e fino al 15% del fatturato ma in questo caso è prevista l’istruttoria del Fondo. In tutte le altre situazioni che non abbiamo descritto, fino a un importo massimo garantibile di 5 milioni di euro, la garanzia sarà solo entro il 90%.

Partite Iva, prestiti automatici fino a 25mila euro

Per le Pmi e le partite Iva (persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni) sono previsti prestiti automatici fino a 25mila euro, in tempi rapidi. Il finanziamento non più superare il 25% del fatturato dell’ultimo bilancio, con la restituzione del prestito in 6 anni, iniziando a rimborsare tra 18-24 mesi.

I prestiti per le partite Iva forfettarie

La situazione dei micro-finanziamenti per le partite Iva forfettarie è un po’ diversa. Per chi ha scelto la flat tax al 15%, infatti, vale sempre il limite del 25% sui compensi. In questo caso, però, sul tetto massimo di 65mila euro, come previsto dalla normativa sul regime forfettario. Facciamo un esempio, per capire meglio. Un artigiano che dichiara 65mila euro, il caso limite e anche meno frequente, potrà richiedere un prestito pari al 25% dei compensi (o ricavi), quindi 16.250 euro. Nel caso, invece, di un reddito di 30mila euro dichiarati nel 2019, l’importo del prestito arriverebbe a 7mila e 500 euro. Per raggiungere quota 25mila euro, quindi, bisognerebbe avere un fatturato di almeno 100mila euro, oltre il limite del forfettario. Da sottolineare anche che la banca, prima di erogare il prestito, può fare la sua valutazione, allungando quindi i tempi. Per i “mini-prestiti”, fino a 25mila euro, quella che non è prevista è la valutazione del Fondo.

Come richiedere il prestito

Come devono fare i lavoratori autonomi, le partite Iva o le piccole imprese che vogliono chiedere il finanziamento fino a 25mila euro? Occorre scaricare il modulo dal sito del Ministero dello sviluppo economico (https://www.fondidigaranzia.it/normativa-e-modulistica/modulistica/), da inviare alle banche o ai consorzi fidi per avviare l’iter. Il modulo può essere inviato via mail, anche senza una posta certificata, alle banche che dovranno, a loro volta, richiedere la garanzia statale.

Link decreto liquidità imprese: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/04/08/94/sg/pdf

Liberi professionisti, imprese e partite iva: bonus e aiuti per fronteggiare l’emergenza coronavirus

Emergenza Corona Virus Partite Iva Italia

Il decreto Cura Italia, approvato dal Consiglio dei ministri, è stato firmato da Sergio Mattarella, ed è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, entrando quindi ufficialmente in vigore. Per l’emergenza coronavirus, si autorizza l’emissione di titoli di Stato per un importo fino a 25 miliardi di euro per il 2020. Nel provvedimento sono previste misure di sostegno a famiglie, lavoratori, commercianti e professionisti.

Il bonus di 600 Euro per i professionisti senza Cassa

Per il mese di marzo, ai liberi professionisti con partita Iva al 23 febbraio 2020 e ai collaboratori attivi alla stessa data, non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, è riconosciuta un’indennità per il mese di marzo pari a 600 euro. Per ottenere il bonus, il professionista dovrà presentare domanda all’Inps. Lo potrà fare anche in via telematica, secondo quanto precisato dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. L’indennità è esentasse.

Quando e come richiedere i bonus: i professionisti senza Cassa

L’Inps informa che le domande per usufruire del bonus di 600 euro possono essere presentate dal 1 aprile 2020.

La misura, prevista dal decreto “Cura Italia”, per fronteggiare l’emergenza coronavirus riguarda i liberi professionisti con partita Iva (iscritti alla gestione separata Inps) e co.co.co., non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie; lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali dell’Ago; i lavoratori dipendenti stagionali del turismo e degli stabilimenti termali; i lavoratori del settore agricolo a tempo determinato, non titolari di pensione, che nel 2019 abbiano effettuato almeno 50 giornate effettive di attività di lavoro agricolo; i lavoratori dello spettacolo.

Per richiedere il bonus da mercoledì 1 aprile, bisognerà registrarsi sul sito dell’Inps, con “una procedura semplificata con un Pin semplificato” che arriva direttamente sul cellulare e procedere con l’invio della domanda per via telematica.

Il bonus di 600 Euro per i professionisti con Cassa

È previsto un bonus anche per i liberi professionisti iscritti alle Casse di previdenza, ad ordini o albi professionali, definito “reddito di ultima istanza”. Il decreto legge per questo bonus ha stanziato 300 milioni di euro.

Quando e come richiedere i bonus: i professionisti con Cassa

Per i professionisti iscritti alle relative Casse di previdenza (medici, commercialisti, architetti, avvocati, notai, giornalisti, ecc.) il contributo arriva dal Fondo per il reddito di ultima istanza, istituito dall’articolo 44 del decreto legge 18/2020. Il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, insieme al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha firmato il decreto interministeriale che definisce le modalità di attribuzione del fondo per il reddito di ultima istanza.

L’indennità di 600 euro per il mese di marzo può essere richiesta alla propria Cassa dal 1 aprile e sarà erogata a chi ha avuto redditi fino a 35mila euro oppure tra 35 e 50mila, nell’anno di imposta 2018, e abbia subito cali di attività di almeno il 33% nei primi tre mesi del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019.

100 euro di bonus per chi va al lavoro

I lavoratori che in questi giorni, nonostante le restrizioni del governo, continuano a recarsi sul posto di lavoro, hanno diritto a 100 euro in più nella busta paga di aprile o a un conguaglio, riconosciuto dal datore di lavoro. L’erogazione, in questo caso, è automatica.

Stop ritenute per i professionisti

I professionisti e consulenti che hanno ricavi o compensi sotto i 400mila euro non dovranno versare le ritenute d’acconto sui ricavi e i compensi percepiti fino al 31 marzo, purché nel mese di febbraio non siano state sostenute spese per lavoro dipendente o assimilato. Bisognerà presentare una dichiarazione dalla quale risulti che i ricavi o compensi non siano soggetti a ritenuta. I contribuenti che decideranno per la sospensione della ritenuta d’acconto, dovranno procedere al versamento dell’ammontare dovuto entro il 31 maggio, anche in 5 rate.

Sospesi versamenti per imprese e lavoratori autonomi

All’articolo 62, commi 2, 3 e 5, del Decreto si stabilisce la sospensione dei versamenti per imprese e lavoratori autonomi in autoliquidazione di ritenute e trattenute relative all’addizionale regionale e comunale, Iva e contributi previdenziali e assistenziali. Sono interessate imprese e professionisti con ricavi o compensi non superiori a 2 milioni di euro nell’anno d’imposta precedente e i versamenti che scadono tra l’8 marzo 2020 e il 31 marzo 2020. I versamenti sospesi sono effettuati, senza applicazione di sanzioni ed interessi, in un’unica soluzione entro il 31 maggio 2020 o mediante rateizzazione, fino a un massimo di 5 rate mensili, a decorrere dal mese di maggio 2020.

L’affitto di botteghe e negozi

Tra le misure a sostegno delle attività produttive, c’è un credito di imposta del 60% del canone di affitto del mese di marzo 2020 della bottega o del negozio in cui si svolge la propria attività commerciale. Il beneficio non viene riconosciuto a quelle attività che sono rimaste aperte nei giorni di chiusure disposte nel Dpcm dell’11 marzo 2020. Il credito di imposta sarà spendibile in compensazione. È previsto, inoltre, un credito di imposta del 50% delle spese di sanificazione degli ambienti sostenute per contenere il contagio da Covid-19, fino ad un massimo di 20mila euro.

Congedo parentale e permessi per assistere i disabili

I lavoratori con figli fino a 12 anni, rimasti a casa per la sospensione delle lezioni, hanno diritto, a decorrere dal 5 marzo, e per un periodo di quindici giorni, ad un congedo per il quale è riconosciuta una indennità pari al 50% della retribuzione. Diversamente possono richiedere un bonus di 600 euro per pagare la baby-sitter. Sulle modalità di attuazione del congedo, occorre attendere direttive dall’Inps. I lavoratori che hanno familiari da assistere possono ottenere automaticamente dal proprio datore di lavoro fino a 12 giorni di congedo “104” per assistere i familiari per il mese di marzo e per quello di aprile, che possono anche essere sommati.

  • Cura Italia: scarica il decreto in pdf
  • Smart working non è lavorare da casa

    Smart Working

    Lo smart working, o lavoro agile, l’anno scorso è cresciuto del 20% rispetto al 2018, secondo una ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Gli smart worker – ossia quei lavoratori dipendenti che possono lavorare in autonomia, scegliendo orario e luogo di lavoro e disponendo di strumenti digitali per lavorare in mobilità – sono circa 570mila, leggendo i dati dell’edizione 2019 dell’Osservatorio Smart Working.

    Gli smart worker sono più soddisfatti

    Il 76% del campione si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti. Praticamente uno su tre si sente completamente coinvolto nella realtà in cui opera e ne condivide i valori, aumentando così la produttività, contro il 21% dei colleghi. Partendo da questa base statistica, non stupisce quindi che nel 2019 la percentuale di grandi imprese che ha avviato progetti di smart working sia cresciuta rispetto al 2018, toccando la soglia del 58%.

    Cosa si intende per smart working

    Lo smart working, o lavoro agile, è un modo di lavorare lontano dall’ufficio, senza quindi la necessità di recarsi fisicamente nel luogo di lavoro. Si basa sulla flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare, a fronte di una valutazione sui risultati. Vale un po’ il concetto: non importa dove e come lo fai, ma conta raggiungere l’obiettivo.

    I quattro pilastri dello smart working

    Lo smart working si basa su quattro pilastri fondamentali: revisione della cultura organizzativa, flessibilità rispetto a orari e luoghi di lavoro, dotazione tecnologica e spazi fisici. Non si tratta, quindi, solo di “lavorare da casa”, ma di un approccio al lavoro che implica una vera e propria svolta culturale in relazione alle modalità organizzative, alla produttività, alle nuove tecnologie, agli spazi e ai tempi.

    Lo smart working e l’emergenza coronavirus

    In questi giorni, a seguito del diffondersi in Italia, e soprattutto in Lombardia e Veneto, del coronavirus, si è iniziato a parlare di più di smart working, anche come misura per limitare i casi di contagi. Il decreto del governo, approvato d’urgenza il 23 febbraio 2020 prevede per le zone rosse “la sospensione delle attività lavorative per le imprese […] ad esclusione di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare ovvero in modalità a distanza”.

    A Milano e in altre città del Nord Italia, molte grandi aziende hanno deciso di optare per lo smart working. Per rendere più facile questa modalità, è stato approvato un nuovo decreto dal presidente del Consiglio dei ministri, che stabilisce come lo smart working in sei regioni (Emilia Romagna, Friuli, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria) si possa attivare senza accordo scritto e l’informativa sulla sicurezza del lavoro può essere assolta anche tramite una semplice mail.

    L’aspetto normativo

    In Italia esiste una legge sullo smart working. Nello specifico, la legge n.81 del 22 maggio 2017, conosciuta anche come “Legge sul Lavoro Agile”, ha regolato la materia del lavoro da remoto. La normativa definisce tutti gli aspetti giuridici: dai diritti dello smart worker, al controllo da parte del datore di lavoro, passando per gli strumenti tecnologici da utilizzare e le modalità con cui viene svolto il lavoro. La legge prevede la parità di trattamento economico e normativo, il diritto all’apprendimento permanente e definisce gli aspetti legati alla salute e alla sicurezza. La normativa si occupa anche di definire le disposizioni che si applicano nella Pubblica amministrazione.

    Smart working e coworking

    I coworking, ossia spazi in cui si paga l’affitto di una postazione per un giorno, qualche ora, oppure un mese, possono essere una sede ideale per un lavoratore agile. Il discorso vale sia per dipendenti che scelgono lo smart working, ma anche per freelance o liberi professionisti, come alternativa al lavoro da casa. Il coworking consente di disporre di tutto quello che serve per lavorare al meglio (connessione internet, sala riunioni, spazi condivisi e postazione personale), senza dover lavorare da casa, ambiente in cui aumenta il rischio di distrazioni. I coworking aiutano a rispettare meglio le scadenze e a superare con successo la transizione da lavoratore dipendente a smart worker. A guadagnarci, in questo caso, sarà la produttività.

    Regime forfettario, cosa cambia nel 2020 per le partite Iva

    forfettario partita iva

    Nel 2020 il governo ha introdotto dei nuovi limiti per i lavoratori autonomi e professionisti che hanno aderito al regime forfettario. Dal 1° gennaio di quest’anno infatti, ci sono dei nuovi paletti per i lavoratori che nel 2019 avevano aderito al regime forfettario, quello che prevede la flat tax al 15 per cento (5 per cento per le nuove attività e start-up). Resta escluso chi ha percepito redditi da lavoro dipendente o da pensione superiori a 30 mila euro. Scopriamo nel dettaglio quali sono le nuove regole e chi è costretto a lasciare il forfettario per entrare nel regime ordinario.

    Chi può essere forfettario?

    Prima di passare in rassegna le modifiche del regime forfettario che prevede una tassazione agevolata per i titolari di partita Iva, vediamo chi può aderire alla flat tax. Possono optare per questo regime i titolari di partita Iva che conseguono ricavi o percepiscono compensi non superiori a 65mila euro in un anno. Se si svolgono due attività, con due codici Ateco distinti, occorre considerare la somma dei ricavi e dei compensi di tutte le attività. Può accedere al forfettario chi ha sostenuto spese per un importo complessivo non superiore a 20mila euro lordi per lavoro accessorio, lavoro dipendente e compensi a collaboratori, anche a progetto.

    Chi resta escluso dal regime forfettario

    I lavoratori autonomi o professionisti che superano i 65mila euro di ricavi in un anno non possono accedere al regime forfettario. Sono escluse anche le persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali ai fini Iva o di regimi forfettari di determinazione del reddito. Niente flat tax al 15 per cento neanche per chi ha avuto nell’anno precedente a quello di riferimento controllo diretto o indiretto di società a responsabilità limitata con attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte individualmente.

    Le nuove regole 2020 nella legge di bilancio

    La legge di bilancio 2020, veicolata nella legge 27 dicembre 2019, all’articolo 1, dai commi 691 e 692, introduce alcune modifiche al regime forfettario. Non possono più restare nel regime forfettario i titolari di reddito da lavoro dipendente superiore a 30mila euro e i titolari di partita Iva che sostengono spese per compensi ai collaboratori di importo superiore a 20mila euro.

    La fattura elettronica resta facoltativa

    Fino ad oggi i titolari di partita Iva forfettari sono stati esclusi dai nuovi adempimenti Iva, ma dal 2020 dovranno fare i conti con il Fisco digitale: lo scontrino elettronico diventa obbligatorio anche per le partite Iva forfettarie, ma resta facoltativa la fatturazione elettronica. Esce dalla tassazione agevolata anche chi ha percepito ricavi e compensi per più del 50 per cento dall’ex datore di lavoro o soggetto riconducibile. Questa limitazione era già stata prevista dal 2019, anno in cui il regime forfettario era stato esteso ai redditi fino a 65mila euro annui.

    Il limite per dipendenti e pensionati

    Per capire meglio, facciamo qualche esempio pratico. Ipotizziamo che un soggetto nel 2019 abbia incassato redditi da lavoro dipendente superiori a 30mila euro, e aveva aperto una partita Iva con il regime forfettario (pagando un’aliquota del 15 per cento sui redditi al netto del forfait, che dipende dal codice Ateco dell’attività di riferimento). Nel 2020, secondo le nuove regole introdotte dal governo, questo lavoratore deve abbandonare il regime forfettario a tassazione agevolata per passare all’ordinario. Stesso discorso per chi ha percepito redditi da pensione superiori a 30mila euro e magari aveva aperto la partita Iva forfettaria per una nuova attività. Anche in questo caso perderebbe i requisiti. Se il lavoratore fosse stato licenziato, invece, non è soggetto al limite di reddito di 30mila euro.

    Taglio del cuneo fiscale: da luglio 2020 in busta paga arriva il bonus fino a 100 euro

    Bonus 100 euro 2020 cuneo fiscale

    Busta paga più ricca dal 1° luglio 2020. Il Consiglio dei Ministri, il 23 gennaio, ha approvato il decreto che taglia il cuneo fiscale per i lavoratori che guadagnano fino a 40mila euro all’anno. Il bonus fiscale in busta arriverà fino a 100 euro: 20 euro al mese in più per chi già incassa il bonus Renzi, 100 euro per chi guadagna fino a 35mila euro, che tendono ad azzerarsi raggiungendo la soglia dei 40mila euro.

    A chi non spetta nessun beneficio

    La sforbiciata non riguarda i redditi più bassi. Restano esclusi dai benefici, infatti, i lavoratori che all’anno guadagnano fino a 8.145 euro, e che già oggi non pagano le tasse. Il governo sta studiando una riforma la prossima primavera che possa includere anche queste fasce di reddito più deboli. Non sono interessati dalla riforma fiscale neanche i pensionati e i lavoratori autonomi, ma solo i lavoratori dipendenti.

    Il taglio del cuneo in base al reddito: i redditi fino a 24.600 euro

    Il decreto legge che, in attuazione del comma 7, dell’art. 1 della Legge 160/2019 (ossia la legge di bilancio 2020), stabilisce la modalità del taglio del cuneo fiscale riguarda, oltre ai lavoratori dipendenti, anche i titolari di alcuni redditi assimilati. Iniziamo dagli 11 milioni di lavoratori che già oggi intascano il bonus Renzi da 80 euro, e che guadagnano da 8.145 a 24.600 euro annui: riceveranno 20 euro in più al mese, arrivando così a 100 euro di bonus complessivi. Quest’anno si parte con 600 euro, ma a regime saranno 1.200 euro.

    I redditi tra 26.600 e 28.000

    Accederanno al nuovo bonus anche i redditi compresi tra i 26.600 e i 28mila euro. Fino ad oggi il vantaggio fiscale si fermava a 26.600 euro, iniziando a diminuire superata la soglia dei 24.600 euro. Da luglio, quindi, chi guadagnerà fino a 28mila euro, si ritroverà in busta paga un bonus di 100 euro. E se si dovesse sforare? Fino ad ora, il bonus andava restituito interamente a fine anno. Con le nuove norme, invece, in caso di superamento del tetto dei 28mila euro, il lavoratore potrà restituire il bonus ricevuto in quattro rate.

    Per i redditi tra 28 e 35mila euro arriva la detrazione fiscale

    L’aliquota Irpef per chi guadagna più di 28mila euro (e fino a 55mila) sale dal 27 al 38%. Per i lavoratori dipendenti che nel 2020 guadagneranno tra i 28 e i 35mila euro, invece del bonus viene introdotta una detrazione fiscale precisa. Si tratta di un aumento tra i 100 e gli 80 euro, a scalare. Per i redditi superiori ai 35mila euro, infine, la detrazione degli 80 euro è destinata a calare gradualmente, fino ad azzerarsi al raggiungimento dei 40mila euro. Una precisazione: l’alleggerimento della pressione fiscale per i lavoratori con redditi fino a 28mila euro è strutturale. La detrazione per i redditi compresi tra i 28 e i 35mila euro, invece, è prevista da luglio come misura sperimentale, in attesa di una riforma fiscale più ampia, da parte del governo.

    La riforma fiscale di primavera

    Tra le ipotesi più discusse, da inserire nella prossima riforma fiscale, prevista ad aprile, c’è un accorpamento degli scaglioni di reddito e delle aliquote, intervenendo anche sul valore delle aliquote stesse, ritoccandole al ribasso. Oggi gli scaglioni Irpef sono cinque, partono da un’aliquota del 23 per cento, fino ad arrivare al 43 per cento per i redditi superiori ai 75mila euro.

    Detrazioni spese mediche 2020: scatta l’obbligo della tracciabilità

    Detrazione spese mediche 2020

    Novità in vista per i contribuenti che vogliono detrarre le spese mediche. Nella legge di bilancio 2020, infatti, per aver diritto alle detrazioni per le spese sanitarie del 19% bisognerà pagare con strumenti elettronici e tracciabili. Non in tutti i casi, però. Facciamo chiarezza per capire quando occorre evitare di usare il contante per aver diritto alla detraibilità fiscale.

    Detrazione spese mediche: in quali casi è obbligatorio pagare con carte

    Con le nuove regole per recuperare le spese detraibili, ai sensi dell’art. 15 del Testo Unico delle Imposte sul Reddito (Tuir), e altre disposizioni normative, dal 1 gennaio 2020 è scattata la stretta all’uso del contante. Le nuove norme impongono l’utilizzo di metodi di pagamento tracciabili come carte di debito e di credito, bonifici e assegni, per le visite mediche in studi privati. Il discorso vale anche per esami e ricoveri in strutture private non accreditate al servizio sanitario nazionale.

  • Detrazione spese mediche 2020: l’infografica in pdf
  • Le spese mediche che si possono ancora pagare in contanti

    Le nuove disposizioni normative prevedono alcune eccezioni. Si potrà continuare a pagare in contanti, con la possibilità di detrarre il 19% in sede di dichiarazione dei redditi, per tutte le spese che riguardano l’acquisto di medicinali e dispositivi medici; per il pagamento di prestazioni sanitarie effettuate in strutture pubbliche e per il pagamento di prestazioni sanitarie in strutture private ma accreditate al servizio sanitario nazionale. In questi casi, quindi, il contribuente che pagherà in contanti, avrà diritto a beneficiare della detrazione Irpef.

    Stop al contante anche per altri pagamenti

    La scelta del governo è chiara: incentivare l’utilizzo di pagamenti elettronici e tracciabili, al fine di contrastare l’evasione fiscale. Le spese mediche costituiscono una voce di costo importante per l’Erario, tanto che ogni anno due contribuenti su tre portano in detrazione almeno una spesa sanitaria. La legge di bilancio, riferendosi all’articolo 15 del Tuir, il Testo unico delle imposte sui redditi, precisa che per ottenere lo sconto fiscale serve pagare con strumenti tracciabili, tra gli altri: le attività sportive dei figli, gli abbonamenti ai mezzi pubblici, le prestazioni veterinarie, le onoranze funebri, gli affitti universitari, le parcelle degli agenti immobiliari, il restauro di beni vincolati e gli strumenti per contrastare disturbi certificati dell’apprendimento.

    Il nuovo limite per le detrazioni

    I redditi alti devono fare i conti con nuove limitazioni per portare in detrazione gli oneri fiscali. La manovra finanziaria, infatti, fissa il limite a 120 mila euro: se il reddito del contribuente supera questa soglia, le detrazioni dell’art. 15 del Tuir, comprese quelle del 19% per le spese mediche, per capirci, spettano “per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 240 mila euro, diminuito del reddito complessivo, e 120 mila euro”. Detto in altre parole, i rimborsi Irpef per chi guadagna più di 120 mila euro si riducono progressivamente, fino a diventare nulli per chi supera i 240 mila euro di reddito complessivo.

    Qualche esempio pratico

    Per rendere più chiara la nuova situazione fiscale, facciamo qualche esempio pratico. Il contribuente che vuole recuperare il 19% della fattura pagata al dentista privato, dovrà saldare il conto con un sistema di pagamento tracciabile, come carte di pagamento, bonifico bancario o assegno.

    Chi, invece, compra in farmacia medicinali, per ottenere il rimborso Irpef, può pagare anche quest’anno in contanti.

    Nel caso di una visita specialistica in una struttura pubblica, è ancora consentito il pagamento cash, ma se si tratta di una clinica privata, invece, per ottenere il rimborso degli oneri fiscali del 19%, bisognerà pagare esclusivamente con strumenti tracciabili, controllando che nella fattura sia esplicitamente indicato il metodo di pagamento elettronico.

    Bisognerà anche ricordarsi di conservare la ricevuta di pagamento e la fattura, da presentare in fase di compilazione del modello 730 o modello Unico.

    INFOGRAFICA: detrazioni spese mediche 2020

    Infografica detrazione spese mediche 2020, stop contante
    Download pdf: Infografica detrazione spese mediche 2020

    Ancora qualche dubbio su spese sanitarie, tracciabilità del pagamento e detrazioni 2020? Per evitare di incappare in errori, conviene affidarsi alla consulenza di professionisti. Scopri i servizi di assistenza fiscale di Ellequadra.