Legge di Bilancio 2022, la guida a tutti i bonus

Una pioggia di bonus nella legge di Bilancio 2022. Il governo Draghi ha riconfermato alcune agevolazioni già attive dallo scorso anno, prevedendo anche un pacchetto di misure per le imprese. Bonus mobili e bonus tv, ma anche agevolazioni per chi cambia il rubinetto e per sistemi di filtraggio dell’acqua. Ecco quali sono i principali bonus, per privati e imprese, previsti nella legge di Bilancio 2022, approvata lo scorso dicembre.

Superbonus 110, cosa cambia?

L’ultima legge di Bilancio ha confermato il Superbonus 110. Nelle ultime settimane non sono mancate le polemiche, a seguito di truffe milionarie sulla cessione del credito, che hanno portato ad alcune modifiche rispetto a quanto previsto con la proroga nell’ultima finanziaria. Il Superbonus 110 è stato prorogato fino al 2023 per i condomini e sugli edifici composti da due a quattro unità immobiliari distintamente accatastate anche se di proprietà di persone fisiche. Prevista la proroga fino al 2025 per condomini ed edifici composti da due a quattro unità immobiliari ma con un’aliquota decrescente, pari al 70% nel 2024 e al 65% nel 2025.

Le ultime novità

Tornano le cessioni ma devono essere tracciabili e sono previste sanzioni più dure per chi truffa lo Stato. Il governo è intervenuto nuovamente, il 18 febbraio 2022, con un decreto ad hoc, intitolato “Misure urgenti per il contrasto alle frodi in materia edilizia”, superando così la stretta che aveva di fatto bloccato il mercato dei crediti ceduti. Saranno ancora possibili le cessioni multiple dei crediti, ma con nuovi limiti: dopo la cessione del primo richiedente, sono consentite soltanto “due ulteriori cessioni” solo se effettuate “a favore di banche e intermediari finanziari iscritti all’albo”.

Il codice identificativo univoco

Sempre nell’intento di limitare le truffe, al credito ceduto è stato attribuito “un codice identificativo univoco, da indicare nelle comunicazione delle eventuali successive cessioni”. Le nuove disposizioni si applicano alle cessioni inviate all’Agenzia delle Entrate dal primo maggio 2022. Sanzioni più severe, inoltre, per chi gonfia le spese per rimborsi fittizi, con multe da 50mila fino a 100mila euro e con la reclusione che va da due a cinque anni.

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Nessun limite per la prima casa

Come deciso già nella legge di Bilancio 2022, non c’è nessun limite legato alla prima casa, resta valido il vincolo di avanzamento dei lavori del 30 per cento entro il 30 giugno 2022. Potrà usufruire del Superbonus nel 2022 anche chi abita in case unifamiliari, ossia villette e abitazioni indipendenti, e senza limite di Isee. Le nuove regole, inoltre, allungano il Superbonus per gli impianti fotovoltaici e introducono un’agevolazione per l’abbattimento di barriere architettoniche. La validità per i lavori sugli edifici che si trovano in aree colpite da eventi sismici è stata estesa fino al 2025.

Detrazione e cessione del credito

La detrazione del Superbonus 110 nella dichiarazione dei redditi cambia in base all’anno in cui vengono sostenute le spese. Detrazione in cinque rate di pari importo per le spese sostenute nel 2020 e nel 2021, mentre detrazione in quattro rate di pari importo per le spese relative al 2022. Resta valido lo sconto in fattura e la cessione del credito per il Superbonus 110 fino al 31 dicembre 2025, seguendo le nuove norme introdotte con l’ultimo decreto.

Tetti massimi per gli interventi

Il 15 febbraio 2022 il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha firmato il decreto che fissa i tetti massimi per gli interventi del Superbonus 110. I massimali potranno essere fino al 20% più alti di quelli già in vigore per l’Ecobonus, in considerazione dell’aumento del costo delle materie prime e dell’inflazione. Una scelta che mira a porre un freno all’eccessiva lievitazione dei costi.

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Bonus tv

Il bonus tv e decoder è stato rifinanziato con 68 milioni di euro per l’anno 2022. L’agevolazione prevede l’erogazione di contributi per acquistare un nuovo decoder (senza rottamare quello vecchio) oppure un apparecchio televisivo (sconto del 20% fino a 100 euro), ma in questo caso bisogna rottamare un televisore acquistato prima del 22 dicembre 2018. I pensionati con più di 70 anni, con un reddito non superiore a 20.000 euro annui, previa richiesta a Poste, possono ricevere un decoder direttamente a casa.

Quali sono gli altri bonus

Nella legge di Bilancio 2022 sono stati inseriti anche altri bonus, come quello mobili fino a 10mila euro. Semaforo verde per il prossimo anno al bonus rubinetti, per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio dell’acqua. Per i giovani è stato rinnovato, in maniera permanente, il bonus cultura. Per tutto il 2022, inoltre, riconfermati gli incentivi fiscali per l’acquisto della prima casa da parte degli under 36. Allungata anche la possibilità di sospendere il pagamento delle rate del mutuo prima casa, fino al 31 dicembre 2022 con il Fondo Gasparrini, per chi si trova in situazioni di emergenza, compresi lavoratori autonomi e liberi professionisti. La domanda va presentata direttamente alla banca, non sono previste spese di istruttoria e non serve l’Isee.

Irpef 2022, cosa cambia e chi ci guadagna con le nuove aliquote

Cambia la tassazione per i lavoratori dipendenti. Con la legge di Bilancio 2022 gli scaglioni Irpef sono diminuiti da cinque a quattro. L’aliquota d’imposta per i lavoratori dipendenti è del 23% per i redditi fino a 15mila euro; del 25% per quelli compresi tra i 15mila e i 28mila euro; del 35% per i redditi fra 28mila e 50mila euro e, infine, del 43% per i redditi superiori ai 50mila euro. Il fine della riforma fiscale è quello di alleggerire la pressione sui redditi medi. Addio all’Irap per i lavoratori autonomi, le ditte individuali, e i liberi professionisti.

Irpef, nel 2020 vale 187 miliardi

L’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, è tra le tasse più rilevanti per le casse dell’Erario. Tanto per rendere l’idea, nel 2020 l’importo complessivo ha superato i 187 miliardi di euro, pari a più di un terzo del totale delle entrate tributarie, nonostante un calo del 2,2% rispetto all’anno precedente, a causa delle misure adottate per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Si tratta di una tassa che riguarda le persone fisiche e, in alcuni casi, le società che però la versano attraverso i soci. Chi risiede in Italia paga sui redditi prodotti in Italia o all’estero, chi invece non è residente è tenuto a versare l’imposta solo relativamente ai redditi prodotti nel territorio italiano.

Risparmi per chi guadagna 40mila euro

Chi ci guadagna con le quattro nuove aliquote in vigore dal 2022? Secondo i calcoli di Altroconsumo, i lavoratori dipendenti con redditi lordi annui di 40mila euro possono risparmiare 945 euro di tasse, mentre in busta paga resteranno solo 153 euro in più per chi guadagna 35mila euro lordi all’anno. E chi ha uno stipendio da 60mila euro lordi? Il vantaggio fiscale cala a 570 euro, cifra che scende ulteriormente a 270 euro per retribuzioni che superano gli 80mila euro all’anno. Tra i pensionati, il risparmio massimo arriva a 758 euro per chi incassa assegni da 50mila euro all’anno. Si scende poi a 452 euro e a 470 euro per pensioni rispettivamente da 40 e 65mila euro all’anno. Si ritroveranno in tasca solo 120 euro in più all’anno i pensionati che incassano 25mila euro all’anno.

 

Le previsioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio

Sono leggermente diverse le previsioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) sui vantaggi della riforma fiscale. Secondo l’Ufficio, “la riduzione di imposta in valore assoluto è maggiore nelle classi di reddito medio-alte, con un beneficio medio di circa 765 euro per i contribuenti con reddito imponibile tra i 42mila e i 54mila euro, fascia maggiormente interessata dalla operazione di regolarizzazione delle aliquote marginali per i lavoratori dipendenti e che consegue anche il beneficio massimo in termini relativi (2%)”. Secondo l’Upb, la riforma garantirà maggiori vantaggi ai lavoratori dipendenti, con 4 miliardi di euro di risorse stanziate, pari al 55%, mentre ai pensionati andranno solo 2,9 miliardi.

Come cambia il bonus Renzi

Per fare i conti precisi di quanto nel 2022 resterà in tasca e quanto, invece, occorrerà sborsare per pagare le tasse, bisogna anche tenere in considerazione il peso delle detrazioni fiscali. L’ex bonus Renzi, inizialmente di 80 euro al mese, innalzato poi a 100 euro al mese, non viene abolito ma resterà solo per i dipendenti con redditi fino a 15mila euro. In determinate condizioni, resterà valido anche per i lavoratori che arrivano a guadagnare fino a 28mila euro all’anno. Nello specifico, per i redditi compresi tra i 15 e i 28mila euro, il bonus può essere ridotto, o anche non corrisposto, se altre detrazioni (per esempio familiari a carico, lavoro dipendente, mutuo prima casa e lavori edilizi) superano l’imposta dovuta.

Detrazioni fiscali più alte

Per i lavoratori dipendenti che guadagnano più di 28mila euro annui, il bonus Renzi non sarà più corrisposto (fino al 2021 spettava a redditi non superiori a 40mila euro all’anno). L’agevolazione sarà sostituita con nuove e più alte detrazioni fiscali riconosciute sul reddito da lavoro. L’importo massimo sarà di 3.100 euro, a cui sia aggiungono 65 euro per i contribuenti con redditi tra i 25mila e i 35mila euro. Per quanto riguarda gli sgravi fiscali, si applicano solo ai redditi che non superano la soglia limite di 50mila euro.

Cosa cambia per le partite Iva

Nella legge di Bilancio 2022 è stata prevista l’abolizione dell’Irap per i lavoratori autonomi, le ditte individuali, e i liberi professionisti. Per semplificare, per le partite Iva che non aderiscono al regime forfettario (già esentato dal pagamento Irap), l’ultimo versamento Irap sarà il saldo dell’imposta 2021, da regolare a giugno 2022, dal momento che la tassa è stata cancellata a partire dall’anno fiscale 2022. Resta da valutare se con i successivi decreti legislativi, che il governo dovrà emanare entro diciotto mesi dalla data di entrate in vigore della legge di Bilancio, in tema di revisione del sistema fiscale, sarà ampliata la platea dei beneficiari. Nelle prossime settimane, con la legge delega, non sono esclusi interventi che riguardano l’obbligo di fatturazione elettronica anche per le partite Iva in regime forfettario.

Legge di Bilancio 2022: tutte le principali misure introdotte con la legge di bilancio 2022

La legge di Bilancio 2022, la prima del governo Draghi, vale 32 miliardi di euro.
Il testo approvato dal Parlamento prevede novità in tema fiscale, con la riduzione delle aliquote Irpef, ma anche conferme sul tema lavoro e Superbonus. Cambia anche la previdenza, con l’addio a Quota 100 e l’introduzione di Quota 102, per ritirarsi dal lavoro con 64 anni di età e 38 di contributi. Nelle intenzioni del governo, “la manovra di Bilancio ha l’obiettivo di sostenere l’economia nella fase di uscita dalla pandemia e rafforzare il tasso di crescita nel medio termine” con l’obiettivo di “ridurre il carico fiscale per famiglie e imprese”.
Vediamo, nel dettaglio, quali sono le principali novità della legge di Bilancio 2022 approvata definitivamente dall’Aula.

Novità Legge di Bilancio 2022: Taglio dell’Irpef e Irap

Il governo ha stanziato 8 miliardi di euro per il taglio delle tasse previsto nella legge di Bilancio 2022.
Le aliquote dell’Irpef si riducono, da cinque a quattro, e saranno al 23% per i redditi fino a 15mila euro, al 25% per i redditi tra 15mila e 28mila euro, al 35% tra 28mila e 50mila euro e al 43% oltre i 50mila euro.
Resta il bonus Renzi da 100 euro per i redditi fino a 15mila euro e a scalare fino a 28mila euro di reddito. Le addizionali regionali e comunali all’imposta sull’Irpef slittano a marzo, per consentire alle Regioni e province autonome di adeguarsi alle nuove disposizioni. Sempre in tema fiscale, la legge di Bilancio 2022 prevede il taglio dell’Irap per autonomi e professionisti con partita Iva. Saranno interessati circa 835mila lavoratori. 

Novità legge di bilancio 2022

Superbonus prorogato nella Legge di Bilancio 2022

Dopo un lungo dibattito, il Superbonus viene riconfermato per il 2022, anche sulle case unifamiliari, ossia villette e abitazioni indipendenti, e senza limiti di Isee. Nessun limite legato alla prima casa, resta valido il vincolo di avanzamento dei lavori del 30 per cento entro il 30 giugno 2022.
Le nuove norme, inoltre, allungano il Superbonus per gli impianti fotovoltaici e introducono un’agevolazione per l’abbattimento di barriere architettoniche. Il Superbonus per i lavori sugli edifici che si trovano in aree colpite da eventi sismici viene prorogato fino al 2025. Per la fruizione del Superbonus, oltre alla detrazione, restano valide le due alternative che sono:

  • lo sconto in fattura;
  • la cessione del credito.

Legge di Bilancio 2022: una sfilza di bonus

La legge di Bilancio 2022 prevede anche una serie di bonus, iniziando da quello mobili fino a 10mila euro. Riconfermato anche per il prossimo anno il bonus tv, con lo stanziamento di ulteriori 68 milioni di euro. I pensionati con più di 70 anni, con un trattamento pensionistico inferiore ai 20mila euro, potranno ricevere il decoder direttamente a casa gratuitamente.
Rinnovato per un altro anno il bonus rubinetti, per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio dell’acqua. Per i giovani è stato rifinanziato in modo permanente il bonus cultura per i diciottenni. Per tutto il 2022 sono stati estesi gli incentivi fiscali per l’acquisto della prima casa da parte di under 36.
Ci sarà tempo fino a sei mesi per pagare, senza interessi di mora e sanzioni, le cartelle notificate dal 1° gennaio al 31 marzo 2022.

Bonus e superbonus nella legge di bilancio 2022

Novità contro il caro bollette nella Legge di Bilancio 2022

Per tagliare il costo delle bollette di luce gas nel primo trimestre del 2022 vengono stanziati 3,8 miliardi di euro. Nello specifico, azzerati gli oneri generali di sistema per le utenze elettriche domestiche e per le utenze del gas.
Si stabilisce, inoltre, l’applicazione dell’aliquota Iva al 5% sul gas metano per le bollette di gennaio, febbraio e marzo 2022. Tra le novità più importanti introdotte dalla legge di Bilancio 2022, oltre al potenziamento del bonus bollette per i redditi più bassi, c’è la possibilità di rateizzare le bollette non pagate che fanno riferimento a fatture emesse tra il 1° gennaio e il 30 aprile 2022. 

Rifinanziato il reddito di cittadinanza nella legge di Bilancio 2022

Stanziato un ulteriore miliardo di euro nella legge di Bilancio 2022 per finanziare il reddito di cittadinanza. Sono previsti controlli più severi e introdotti correttivi alle modalità di corresponsione. Altri 3 miliardi di euro sono destinati alla riforma degli ammortizzatori sociali, con un aumento dei sussidi di disoccupazione e un’estensione degli istituti di integrazione salariale ordinari e straordinari ai lavoratori di imprese attualmente non inclusi, agli apprendisti e ai lavoratori a domicilio. Previsti incentivi ai contratti di solidarietà, oltre alla proroga per il 2022 e il 2023 del contratto di espansione con l’allargamento a tutte le imprese con più di 50 dipendenti. Un’altra novità introdotta dalla legge di bilancio 2022 riguarda il congedo paternità di 10 giorni che diventa strutturale.

Novità legge di Bilancio 2022: Delocalizzazioni

Nella manovra di Bilancio 2022 sono incluse delle norme contro le delocalizzazioni e riguardano aziende con almeno 250 dipendenti. Nel caso fosse decisa la chiusura di una sede, con minimo 50 licenziamenti, la comunicazione del datore di lavoro dovrà arrivare almeno 90 giorni prima e dovrà anche comunicare per iscritto l’avvio della procedura ai sindacati, alle regioni interessate, ai ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico e all’Anpal. Spetterà poi all’azienda in questione elaborare un piano per limitare gli effetti derivanti dalla chiusura sui lavoratori. 

Malattia e infortunio per le partite Iva: novità legge di Bilancio 2022

Secondo quanto previsto dalla manovra di Bilancio 2022, i professionisti che rimangono a casa in malattia o che sono ricoverati per una patologia in corso, per accertamenti, per intervento chirurgico o per un infortunio grave e che hanno un’inabilità temporanea di più di tre giorni sono momentaneamente esonerati da ogni responsabilità fiscale e, quindi, non possono essere sanzionati nel caso non rispettassero una scadenza. Le nuove norme, però, non riguardano tutte le partita Iva, bensì solo i professionisti iscritti a un albo professionale.

Professione Youtuber: ecco cosa fare per essere in regola col Fisco

Da semplice piattaforma per condividere video a fonte di guadagno. YouTube, fondato nel 2005 da Steve Chen, Jawed Karim e Chad Hurley, è diventato un vero e proprio lavoro per i “video creator”. Nel 2020, secondo la classifica di Forbes, lo youtuber più pagato al mondo è Ryan Kaji, un bambino di dieci anni. È diventato famoso per aprire i pacchi con dentro i giocattoli e recensirli, guadagnando fino a 30 milioni di dollari. Adesso non tutti gli youtubers raggiungono queste cifre, ma se quella del creator diventa la professione principale, è bene mettersi in regola con il Fisco, per evitare brutte sorprese. Ecco come.

Youtuber: Attività occasionale o lavoro principale?

Per il Fisco è possibile svolgere un’attività in via occasionale, quindi senza la necessità di aprire la partita Iva. In questo caso i compensi sono tassati in “ritenuta d’acconto”, ossia una tassa del 20% trattenuta e versata all’erario direttamente dal committente. Perché l’attività sia occasionale, però, bisogna rispettare determinate condizioni: singole collaborazioni di breve durata e non continuative; il volume d’affari deve essere contenuto. Se il canale Youtube diventa la principale attività, allora occorre aprire la partita Iva. 

professione Youtuber: p.iva e inquadramento fiscale per youtuber

Partita IVA per Youtuber

La prima cosa cosa da fare, in caso di apertura della partita Iva, è rivolgersi a un consulente o uno studio contabile in grado di fornire le informazioni e la consulenza necessaria, soprattutto per chi intende avviare un’attività digitale come lo youtuber, ma anche il web designer o l’influencer. Bisognerà poi individuare il codice Ateco legato all’attività: se per un avvocato, un architetto o un ingegnere la scelta è semplice, per una professione come quella dello youtuber non si tratta di un passaggio così scontato.

La scelta del codice Ateco per Youtuber

Per lo Youtuber manca, infatti, in codice Ateco specifico. Partiamo dal presupposto che un creator guadagna tramite sponsorizzazioni e inserzioni pubblicitarie: in questo caso il codice Ateco corretto è “73.11.02 – Conduzione di campagne pubblicitarie”, oppure “73.12.00 – Attività delle concessionarie pubblicitarie”. Nel caso l’attività dovesse prevedere anche altri introiti, potrebbe essere necessario aggiungere un altro codice Ateco. Chi si occupa, invece, prevalentemente di vendita di prodotti online, oltre alla gestione del canale YouTube, dovrà seguire le regole previste per l’e-commerce, con tutti gli obblighi fiscali del caso.

L’iscrizione in camera di commercio per Youtuber

Questi codici Ateco presuppongono l’avvio di un’attività commerciale e occorre, quindi, l’iscrizione in camera di commercio. Se il soggetto è individuale dovrà pagare i diritti di segreteria di iscrizione e il diritto annuo della camera di commercio: la spesa è di circa 100 euro. Servirà anche munirsi della PEC (posta elettronica certificata) e della firma digitale (che non è lo SPID). Una volta avvenuta la registrazione in camera di commercio, in automatico il soggetto verrà iscritto alla gestione commercianti dell’Inps.

La gestione commercianti dell’Inps

L’iscrizione alla gestione commercianti prevede il versamento di contributi fissi che annualmente vengono stabiliti dall’Inps su una soglia di reddito, superata la quale, in fase di dichiarazione dei redditi, verrà applicato il conguaglio. Se lo youtuber aderisce al regime forfettario, può scegliere di usufruire della riduzione della contribuzione. L’opzione deve essere esercitata entro il 28 febbraio per il primo anno e revocata nel caso di uscita dal regime forfettario o se desidera versare i contributi per intero.

Regime fiscale per Youtuber: youtuber in regola con il fisco

La scelta del regime fiscale più conveniente per Youtuber

Il prossimo passo da compiere riguarda la scelta del regime fiscale per la partita Iva dello youtuber. Occorre sempre valutare i costi fissi e variabili che lo youtuber andrà a sostenere e sulla base di un ipotetico fatturato, scegliere il regime fiscale più conveniente. Se i costi sono minimi o assenti, il regime forfettario è la scelta più indicata per chi non supera il 65mila euro di ricavi e compensi annui. Si pagherà un’imposta sostitutiva con aliquota al 5% per i primi cinque anni e poi al 15%. Tra i benefici da sfruttare: non c’è l’Iva in fattura, l’esonero da esterometro e studi di settore e l’esonero della tenuta della contabilità (al momento non c’è l’obbligo di fatturazione elettronica, ma solo quello di numerare e conservare le fatture). Si pagherà l’imposta sostitutiva sul fatturato decurtato di una quota percentuale, legata all’indice di redditività del codice Ateco, che nel caso dello youtuber è del 22%. Se supera la soglia dei 65.000 di ricavi nell’anno, decade dal regime fiscale agevolato e l’anno successivo verrà applicato quello ordinario.

Regime forfettario per Youtuber: chi può aderire

La scelta del regime forfettario per la partita Iva dello youtuber è legata al rispetto di alcune condizioni. Oltre al tetto dei 65mila euro annui di ricavi e compensi, occorre essere residenti in Italia. Non è possibile aderire al forfettario neanche per i soggetti che risultano titolari di quote di partecipazione a società o associazioni, oppure che controllano direttamente o indirettamente una Srl dello stesso settore. Esclusi anche coloro che hanno percepito più di 30mila euro da redditi da lavoro dipendente o da pensione, nell’anno fiscale precedente all’apertura dalla partita Iva. 

E-commerce e Iva: ecco perché il regime OSS semplifica le vendite online

Dal 1° luglio 2021 sono cambiate le regole sull’applicazione dell’IVA sui beni acquistati e venduti online, grazie all’introduzione del regime OSS. L’intento è quello di rendere più facili le transazioni commerciali elettroniche tra Paesi dell’Unione Europea, facendo diminuire le frodi e assicurando alle imprese Ue condizioni di parità con le imprese di Paesi terzi. Le “vendite intracomunitarie a distanza” sono soggette a una nuova normativa fiscale: si applica l’Iva nel Paese di provenienza dei beni solo se il valore di questi non supera i 10.000 euro nell’anno nella comunità europea. Oltrepassata tale soglia, l’imposta sarà applicata in riferimento all’aliquota del Paese di destinazione.

IVA OSS per Ecommerce

I vantaggi del nuovo regime OSS

La normativa fiscale è cambiata con il D.Lgs. n. 83/2021 che recepisce nell’ordinamento italiano gli articoli di riferimento della Direttiva Ue 2017/2455. La novità riguarda l’introduzione del regime Iva opzionale OSS (Open Shop Stop) che consente all’operatore economico, ossia al venditore, che decide di sottoscriverlo, di effettuare la registrazione telematica Iva in un solo Stato Ue per tutte le vendite a distanza di beni/servizi effettuate nei confronti dei consumatori privati. Questa possibilità facilita le transazioni online e prevede la presentazione di una dichiarazione telematica trimestrale unica ai fini Iva e contestuale versamento dell’importo dovuto.

Perché il regime Iva OSS semplifica le vendite

Le nuove regole rendono più semplici le compravendite online perché l’adesione al regine Iva OSS, che sostituisce il precedente MOSS, consente a chi vende un prodotto per via telematica di non identificarsi ai fine Iva in tutti gli Stati membri in cui vende i prodotti. Questo significa meno incombenze fiscali. Con la dichiarazione telematica trimestrale Iva si effettua un unico versamento per l’Iva dovuta in tutti gli Stati membri di consumo. 

Come pagare l’Iva secondo il regime OSS

L’operatore economico, sempre il venditore, per l’Agenzia delle Entrate “soggetto passivo”, che si iscrive all’OSS, pagherà l’Iva dovuta allo Stato membro di identificazione, applicando le aliquote proprie degli Stati membri di consumo. Facciamo un esempio. Nel caso si registrasse in Italia, fino a 10.000 euro l’Iva sarà quella applicata dall’Italia, con aliquota ordinaria al 22%. Se dovesse superare i 10.000 euro di vendite in tutti gli stati UE, allora l’Iva applicata sarà quella calcolata con le aliquote degli Stati membri di consumo. La semplificazione sta nel fatto che il “soggetto passivo” pagherà direttamente in Italia l’importo risultante della dichiarazione Iva, relativo alle operazioni effettuate all’interno della Ue. Spetterà poi allo Stato italiano provvedere a ripartire gli importi spettanti ai vari Stati comunitari. 

Commercio online in crescita

Le vendite sul web hanno fatto registrare un’impennata nel 2020, soprattutto a causa del lockdown. L’Istat ha evidenziato un aumento del +34% del commercio elettronico tra gennaio e dicembre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. A dicembre 2020 le vendite online hanno messo a segno un aumento del 33,8% rispetto ai dodici mesi precedenti. L’anno scorso, sempre secondo l’ultimo rapporto Istat, è stato un anno difficile per il commercio (-5,4%), ma con le vendite online in aumento, insieme all’utilizzo di pagamenti elettronici. 

Dichiarazione Iva OSS e versamento dell’imposta

La dichiarazione Iva per i soggetti passivi che hanno aderito al regime OSS deve essere presentata, per via telematica, per ciascun periodo di imposta, entro la fine del mese successivo al termine di ciascun trimestre. È bene precisare che la dichiarazione Iva dovrà essere presentata anche se non è stata effettuata alcuna operazione nel corso del trimestre di riferimento. I soggetti registrati al regime OSS la presenteranno direttamente o tramite un intermediario abilitato.

Gestione fiscale e contabile. Fare la scelta giusta

Per la gestione fiscale e contabile della propria attività è importante fare la scelta giusta. Ci sono delle incombenze da rispettare, sia nella fase di costituzione che in quella di gestione della contabilità. Anche per questo motivo, quindi, è bene affidarsi ad un consulente o uno studio contabile che sappia fornire il supporto necessario in ogni fase del processo di avvio della nuova attività. Dalla scelta del regime fiscale, fino alla gestione ordinaria degli aspetti fiscali.

Lavoro agile nel post-Covid: torna a crescere la domanda di coworking

Prima della pandemia, lo smart working riguardava circa 570mila lavoratori. Durante la fase più acuta dell’emergenza Covid, il lavoro agile ha interessato il 97% delle grandi imprese, il 94% delle pubbliche amministrazioni e il 58% delle Pmi, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori. Dieci volte tanto, secondo i dati del Politecnico di Milano.

Superata la fase emergenziale, si sta diffondendo un nuovo concetto di smart working, un modello ibrido. E in questo scenario, gli spazi di coworking stanno tornando centrali. Cerchiamo di capire perché. 

Coworking milano Ellequadra

Il modello ibrido

Si sente sempre più parlare di modello ibrido. Durante il lockdown la maggior parte dei lavoratori ha sperimentato il lavoro agile. Flessibilità e autonomia erano una scelta obbligata per contenere i contagi, ma una volta passata la fase acuta, non si torna più indietro. La prassi lavorativa come la si conosceva prima del Covid è una realtà superata. Attualmente, infatti, la percentuale di lavoratori da remoto è ancora circa il 30% dei dipendenti e le grandi aziende prevedono che almeno il 60% della forza lavoro continuerà da remoto. 

Il nuovo equilibrio

Si può chiamare “nuova normalità”, oppure lavoro ibrido. La tendenza è quella di ricercare un nuovo equilibrio: ci sono aziende che si stanno orientando verso una modalità “remote-first”, ossia che prevedono lo smart working come prioritario rispetto a quello in ufficio. E poi ci sono realtà che mirano alla scelta “office-first”, in cui il lavoro sul luogo fisico resta prioritario. Ogni azienda può bilanciare i due aspetti in maniera diversa, ma la percentuale di lavoro in presenza non sembra destinata a tornare ai livelli pre Covid. 

Il nuovo equilibrio agile delle aziende: il Coworking

Gli esempi all’estero e in Italia

Facebook lo ha già annunciato nei mesi scorsi: i lavoratori potranno lavorare sempre da remoto. Microsoft offre la possibilità di lavorare in smart working per metà settimana. PayPal e Viacom stanno ampliando le ore da remoto. Spostandoci in Italia, lo scenario è molto vario. Le aziende si stanno riorganizzando, ampliando l’adozione del lavoro agile e con nuovi spazi negli uffici destinati al relax. I dipendenti della Pubblica amministrazione, invece, dal 15 ottobre sono tornati a lavorare in presenza. E sempre da metà ottobre, per tutti, è scattato l’obbligo di green pass. Su questo aspetto, il Dl 127/2021 precisa che l’obbligatorietà del certificato verde non può essere aggirata con lo smart working. 

Come cambia il concetto di ufficio 

Se lo smart working fino a due anni fa era un’esclusiva dei freelance, oggi lo scenario sta cambiando. L’organizzazione del lavoro punta adesso su regole diverse. Molti lavoratori oggi tornano a popolare i coworking. Guardando i dati di Iwg, colosso che a Milano gestisce circa 50 centri di coworking, la richiesta di postazioni in città ha fatto registrare un incremento del 66%. Le aziende, per adattarsi al nuovo “modello ibrido” cominciano ad investire anche in uffici distribuiti sul territorio, per consentire ai dipendenti di lavorare più vicino a casa, riducendo così il tempo destinato agli spostamenti. 

Il rilancio del coworking 

Uffici flessibili e scrivanie di quartiere, per vivere la “città in 15 minuti”, ottimizzando il lavoro agile e organizzandolo con nuove dinamiche, senza correre il rischio di stare sempre a casa, con conseguente difficoltà a separare l’attività lavorativa dal tempo libero. Le soluzioni si declinano in postazioni di coworking che offrono una gamma sempre più ampia di servizi e con diverse formule di abbonamento: dal giornaliero al mensile, in modo da andare incontro alle esigenze di aziende e liberi professionisti. 

Coworking: dove, come e perchè devi organizzare un Coworking a Milano

Quale scegliere 

Con un’offerta così variegata, la scelta dovrebbe premiare uno spazio di coworking che sia comodo, non troppo distante da casa e che offra i servizi necessari – dalla sala riunioni alla domiciliazione della sede legale oppure l’ufficio virtuale -, in modo da trovare tutto quello che serve nello stesso posto. Compresa l’assistenza contabile, come nel caso di Ellequadra, che tra i servizi vanta una gamma di soluzioni – dalla gestione fiscale a quella amministrativa, passando per la gestione contabile e finanziaria – utili per i liberi professionisti e aziende. Ma in grado anche di far fronte agli adempimenti fiscali del lavoratore dipendente che sceglie il coworking per le attività in smart working nella “nuova normalità”. 

Cerchi un Coworking capace di rispondere a tutte queste esigenze? Contattaci:
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Contributo a fondo perduto perequativo: cos’è e come richiederlo

Tra gli aiuti stanziati a favore delle attività colpite dalla crisi durante il Covid-19, il governo con il decreto Sostegni Bis ha previsto il contributo a fondo perduto perequativo.

La misura riguarda imprese e professionisti che nel 2019 hanno conseguito ricavi o compensi non superiori a 10 milioni di euro, a condizione che nel 2020 abbiano registrato una diminuzione del reddito rispetto al 2019, in misura almeno pari alla percentuale che sarà definita da uno specifico decreto ministeriale.

fondo perduto perequativo: scadenze, condizioni e ammontare del contributo

Le scadenze per accedere al fondo perduto perequativo.

Il decreto (Dpcm 7 settembre 2021) ha spostato al 30 settembre il termine ultimo per l’invio delle dichiarazioni dei redditi degli operatori economici che intendono accedere al contributo a fondo perduto perequativo. Oltre ad aver inviato la dichiarazione dei redditi entro il 30 settembre, per avere diritto a richiedere il contributo occorre essere titolari partita Iva attiva al 26 maggio 2021. 

I requisiti per accedere al fondo perduto perequativo.

Le condizioni da rispettare per poter chiedere l’accesso al fondo perduto perequativo sono tre:

  • La prima riguarda la partita Iva, attiva almeno dal 26 maggio e che abbia percepito un reddito massimo fino a 10 milioni di euro.
  • La titolarità di reddito agrario o svolgere attività d’impresa, arte e professione con ricavi o compensi non superiori a 10 milioni di euro nel secondo periodo d’imposta precedente a quello in corso dal 26 maggio 2021.
  • Il terzo requisito riguarda il peggioramento del risultato economico.

Di quale importo dev’essere tuttavia tale peggioramento del risultato economico? Quali sono le specifiche di quest’ultimo requisito per il fondo perduto perequativo? Scopriamolo.

Percentuale di peggioramento del risultato economico per il fondo perduto perequativo

Il peggioramento del risultato economico.

Per avere diritto al fondo perduto perequativo bisogna aver registrato nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2020 un risultato economico peggiore di quello realizzato nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2019 in una misura percentuale che deve ancora essere definita da un decreto del Mef (ministero dell’Economia). Allo stesso modo restano ancora da fissare anche le modalità di quantificazione dell’ammontare del fondo che spetta ad ogni richiedente.

A quanto ammonta il contributo a fondo perduto perequativo.

Ad oggi chi ha registrato una diminuzione di fatturato tra il 2020 e il 2019 può sperare di aver diritto al contributo a fondo perduto perequativo, in attesa che venga fissata la percentuale.

Non è stata ancora definita la soglia del peggioramento del risultato economico per poter accedere alla misura.

La norma, inoltre, prevede che l’ammontare del fondo perduto dovrà essere calcolato applicando la differenza tra il risultato economico del 2019 e quello del 2020 un parametro percentuale ancora da definire e, successivamente, sottraendo al risultato così ottenuto i contributi a fondo perduto di cui si è già fruito. 

L’anticipo dei termini per accedere al fondo perduto perequativo.

Per semplificare, gli operatori economici che hanno anticipato l’invio delle dichiarazioni al 30 settembre, con un calo di reddito tra il 2019 e il 2020, ipoteticamente potrebbero fare parte della platea di beneficiari del contributo a fondo perduto perequativo.

L’anticipo dei termini si è reso necessario per permettere all’Agenzia delle Entrate di preparare le erogazioni entro il 31 dicembre 2021, ossia il limite previsto per mettere in pagamento gli aiuti di Stato Covid-19. 

Condizioni e tempi per accedere al fondo perduto perequativo

Il limite temporale per beneficiare del fondo perduto perequativo.

La situazione resta in evoluzione poiché, nel caso lo stato di emergenza fosse prorogato anche nel 2022, non si può escludere che il pagamento del contributo a fondo perduto perequativo possa slittare. Intanto chi ha subito una diminuzione di fatturato e ha presentato la dichiarazione dei redditi entro il 30 settembre, resta in attesa di capire se riceverà il contributo o meno. E, soprattutto, a quanto ammonteranno gli aiuti a fondo perduto.

 

Spid: cos’è, a cosa serve e come richiederlo

spid

Per accedere al sito dell’Inps, dall’inizio di ottobre, è richiesto il riconoscimento tramite Spid. Cos’è? Si tratta del sistema unico di accesso con identità digitale ai servizi online della pubblica amministrazione italiana. L’identità Spid è costituita da credenziali, nome utente e password, che vengono rilasciate all’utente e che permettono l’accesso a tutti i servizi online: dal sito dell’Inps a quello dell’Agenzia delle entrate, ma anche per le prenotazioni sanitarie.

Come si richiede lo Spid

Spid è gratuito e per richiederlo bisogna essere maggiorenni. Serve un indirizzo mail, un numero di telefono cellulare, un documento di identità valido e la tessera sanitaria con codice fiscale. Per ottenerlo, occorre scegliere tra uno degli Identity provider e avviare la procedura dal loro sito. Questi provider sono Aruba, Infocert, Intesa, Namirial, Poste Italiane, Register, Sielte, Tim e Lepida.

Gli step per la registrazione

Per registrarsi serve inserire i propri dati anagrafici, in modo tale da creare le credenziali Spid e, infine, bisogna procedere con il riconoscimento. Nel caso venga fatto fisicamente, è sempre gratuito. Alcuni provider, invece, chiedono il pagamento di una quota in caso di riconoscimento da remoto (tramite webcam o video chiamata). Durante il lockdown, questa possibilità veniva offerta in certi casi senza costi, e anche adesso alcuni provider possono lasciare il riconoscimento da remoto gratuito.

Come scegliere il livello di sicurezza

Gli Identity provider forniscono Spid che hanno diversi livelli di sicurezza. Ogni utente deve scegliere la modalità più comoda per il riconoscimento (di persona, tramite carta di identità elettronica (CIE), carta nazionale dei servizi (CNS), firma digitale o tramite webcam). Una volta definito il livello di sicurezza che serve, bisogna proseguire con la scelta del provider. Chi è già cliente di uno di questi provider, avrà una procedura semplificata per ottenete lo Spid.

Dove si usa lo Spid

L’identità digitale serve per accedere a molti servizi della pubblica amministrazione. Facciamo qualche esempio: anagrafe, servizi Inail, Inps, fascicolo sanitario elettronico, Agenzia delle entrate, solo per citare alcuni servizi. È più sicuro di un pin e consente di essere identificati in maniera univoca.

Lo Spid per accedere al sito dell’Inps

Dal primo ottobre 2020 per accedere all’area riservata dal portale, l’Inps non rilascia più il pin come credenziale di accesso ai servizi dell’istituto. Il pin verrà sostituito dallo Spid, il sistema pubblico di identità digitale, che permette di accedere ai servizi on-line della Pubblica amministrazione”. E chi fino ad oggi accede solo col pin? “Il passaggio avverrà gradualmente, come precisato dalle istruzioni fornite con la circolare Inps 17 luglio 2020, n. 87”, che prevede una fase transitoria che si concluderà con la cessazione della validità del codice alfanumerico.

Più affidabilità e sicurezza

Identificarsi con lo Spid garantisce diversi livelli di sicurezza, che possono essere scelti in fase di attivazione, ed è più sicuro di una password alfanumerica. Il primo livello permette di accedere ai servizi online attraverso un nome utente e una password. Il secondo livello permette l’accesso attraverso un nome utente e una password scelta dall’utente, più la generazione di un codice temporaneo di accesso. Il terzo livello, infine, richiede un supporto fisico per l’identificazione. I tempi di rilascio dipendono dall’identity provider: alcuni ci impiegano pochi giorni, per altri l’attesa è quasi infinita. La celerità nell’attivazione dello Spid, quindi, può essere un parametro da tenere in considerazione nel momento in cui si sceglie il provider per farsi rilasciare l’identità digitale.

E-commerce: gli obblighi fiscali per iniziare a vendere online

E-commerce e obblighi fiscali
Fonte: eCommerce B2c in Italia: aumenta il mercato, ma cresce il valore? – Osservatorio eCommerce B2c

In Europa il mercato dell’e-commerce segna un aumento di vendite di prodotti che crescono quattro volte più velocemente delle vendite offline. I dati sono quelli del rapporto Future opportunities in FMCG- e-commerce, di Nielsen e si focalizzano sull’e-grocery, ossia l’e-commerce nel largo consumo, in 34 mercati. Tra le evidenze, c’è quella di un’espansione decisa nei prossimi anni, con un tasso di crescita medio del 18,4 per cento annuo, con le vendite globali che raggiungeranno i 400 miliardi di dollari entro il 2022.

I settori

Gli acquisti online in Italia nel 2019 valgono 31,6 miliardi di euro, guardando i dati relativi dell’Osservatorio eCommerce B2c promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm. Il valore degli acquisti online da smartphone costituisce il 40% dell’e-commerce totale: quest’anno il telefonino diventerà il primo canale per l’e-commerce. L’Arredamento segna la crescita più importante (+30%, 1,7 miliardi di euro), insieme al Food&Grocery (+42%, 1,6 miliardi di euro). I servizi, Turismo e Trasporti, pesano per 10,9 miliardi di euro.

Quali sono i Paesi che vendono di più

Nella classifica dei Paesi che vendono maggiormente online, la Cina si conferma il primo mercato, con oltre mille miliardi di euro. Seguono gli Stati Uniti, con 620 miliardi di euro nel
2018 e poi l’Europa con 600 miliardi di euro, dove primeggiano Francia, Germania e Regno Unito. Più arretrata l’Italia ma in crescita.

Cosa si deve fare, quindi, per iniziare un’attività di e-commerce?

Il primo passo: aprire la partita Iva

Per prima cosa occorre scegliere la forma giuridica con il proprio consulente. La ditta individuale è l’opzione più rapida, oppure si può optare per una società se si è in presenza
di soci. Questa seconda possibilità, però, prevede la costituzione dal notaio.

Scegliere il tipo di attività

Il passo successivo da compiere, una volta definita la forma giuridica, è distinguere il commercio elettronico di prodotti alimentari e non alimentari: il primo comporta più adempimenti. Le comunicazioni/adempimenti (apertura partita Iva, Scia, iscrizione in CCIAA e iscrizione all’Inps) oggi vengono semplificate in un’unica pratica che si chiama COMUNICA. Si può presentare direttamente online alla Camera di commercio tramite un intermediario. Occorre anche attivare un indirizzo di posta certificata, al momento dell’iscrizione in Camera di commercio e una firma digitale, che è diversa dallo Spid (identità digitale).

Occhio alle commissioni

I guadagni possono variare anche in base al canale che si sceglie per vendere. Per questo occorre fare una valutazione approfondita sulle piattaforme più idonee per vendere i propri prodotti (Amazon, Etsy, eBay) e verificare la percentuale di commissioni che vengono trattenute sul prodotto venduto ed eventuale costo fisso richiesto mensilmente o all’iscrizione.

Sempre nell’ottica di massimizzare i guadagni, sarà buona regola passare in rassegna i conti correnti bancari, al fine di individuare quello più economico: costi come il canone mensile o quello sulle transazioni possono influire negativamente sugli incassi.

Le forme di pagamento

Maggiori sono i metodi di pagamento accettati, più alte sono le probabilità di aumentare il numero di clienti. Meglio ampliare quindi i tipi di pagamenti accettati (PayPal, Satispay e, ovviamente, carta di credito), tenendo in considerazione sempre i costi fissi da riconoscere alla piattaforma. Con l’avvento della fatturazione elettronica (non obbligatoria per il regime forfettario), è bene informarsi anche sul software da utilizzare.

Il regime fiscale

La convinzione diffusa è che il regime forfettario sia quello più conveniente. Nella maggior parte dei casi è così, ma non sempre. Se si sceglie di aprire una ditta individuale, quindi, occorre verificare la convenienza. Oltre al regime fiscale ci sarà da considerare anche il costo che si deve sostenere per la gestione della previdenza obbligatoria (Inps). Sia che si scelga la forma individuale o la forma di società, l’imprenditore o l’amministratore dovrà almeno pagare i contributi fissi Inps sul minimale che per il 2020 ammontano a 3.850,52 euro da versare in rate trimestrali, ognuna da 962,64 euro.

Gestione fiscale e contabile. Fare la scelta giusta

Tirando le somme, avviare un’attività di e-commerce non è una passeggiata. Ci sono delle incombenze da rispettare, sia nella fase di costituzione che in quella di gestione della contabilità. Anche per questo motivo, quindi, è bene affidarsi ad un consulente o uno studio contabile che sappia fornire il supporto necessario in ogni fase del processo di avvio della nuova attività. Dalla scelta del regime fiscale, fino alla gestione ordinaria degli aspetti fiscali.

Domiciliazione della sede legale, a cosa serve e come sceglierla

Domiciliazione sede legale Milano Centro
La sede della tua attività in centro a Milano? Con la domiciliazione della sede legale costa meno di quello che immagini. (foto di Constantine H. / Flickr.com)

La sede legale di un’azienda non coincide sempre con la sede operativa. Per prima cosa, cerchiamo di capire in modo chiaro quali sono le differenze tra la sede legale e quella operativa. E perché è spesso vantaggioso scegliere una sede legale in centro città, a differenza di quella operativa che resta più frequentemente dislocata e decentrata.

Sede legale e sede operativa: cosa sono

La sede legale di un’azienda è dove si conservano documenti fiscali e bilanci, dove si progetta e prepara il lavoro e dove si possono anche incontrare i clienti e fare riunioni. In ambito aziendale coincide con la residenza fiscale ma non deve coincidere per forza con la sede operativa che è, invece, il luogo dove effettivamente si lavora e si produce.

Una sede legale facile da raggiungere

Due amici hanno costituito una società Srl, si occupano di fornire servizi informatici. Hanno acquistato un piccolo locale dislocato che funge da sede operativa, dove svolgono la propria attività. I due soci hanno bisogno anche di una sede in zona centrale perché più facile da raggiungere per incontrare i clienti, che disponga di una sala riunioni, in un palazzo d’epoca a due passi dal Duomo. Per questi motivi, quindi, scelgono di domiciliare la sede legale.

Domiciliazione della sede legale: i vantaggi

Il numero di aziende che decidono di optare per la domiciliazione legale è in costante aumento. In questo modo scelgono di avere due indirizzi distinti, uno per la sede legale e l’altro per quella operativa. Decidere di domiciliare la sede legale della propria azienda comporta diversi vantaggi legati ad esigenze operative, economiche e di marketing. Vediamo quali sono e perché è conveniente la domiciliazione della sede legale nel centro di una città come Milano.

La sede operativa, occhio ai costi

Un’attività potrebbe avere bisogno di una sede operativa che offra grandi spazi, al fine di produrre e organizzare il lavoro. I costi dell’affitto dei locali possono diventare proibitivi nel centro di una grande città. Per questo motivo, la maggior parte delle aziende preferisce scegliere la propria sede operativa in periferia oppure, in base al tipo di attività, può ipotizzare di organizzarsi con tante piccole unità produttive più leggere.

La sede legale, meglio in zona centrale

La sede operativa deve essere più ampia e dislocata, per privilegiare l’aspetto produttivo, mentre la sede legale deve rispettare altre caratteristiche. Decidere di domiciliare la sede legale in centro città, ad esempio, consente di sfruttare una zona strategica per il business, usufruendo di un indirizzo in sintonia con brand, potendo contare sul prestigio e la comodità di una zona centrale per incontrare i propri clienti.

Come migliorare la gestione amministrativa

Dalla sede legale dipendono anche le altre attività legate all’azienda, come per esempio la Camera di commercio di riferimento, il Comune al quale richiedere autorizzazioni e il tribunale per eventuali cause civili. Scegliere la domiciliazione della sede legale, tra gli altri vantaggi, offre anche quello di alleggerire le incombenze amministrative, a patto che si punti su un servizio professionale.

Domiciliazione della sede legale: perché sceglierla

Le aziende e società che decidono di avvalersi del servizio di domiciliazione della sede legale, possono usufruire di diversi servizi, a un prezzo ridotto. Quelli offerti da Ellequadra e dedicati alle imprese prevedono, con la domiciliazione della sede legale in Piazza San Sepolcro, a poca distanza dal Duomo, a Milano: l’utilizzo dell’indirizzo nelle comunicazioni, negli atti ufficiali dell’azienda, sul sito internet, nelle presentazioni e brochure e nei documenti societari.

Altro aspetto assolutamente da considerare è la certezza di non perdere neanche una lettera, perché il personale provvedrà a ricevere corrispondenza e documenti importanti che archivierà o inoltrerà con la garanzia della consegna. Lo studio offre anche la gestione fiscale, la sala riunioni, una linea telefonica dedicata e, infine, un ufficio virtuale. A conti fatti, con la domiciliazione legale si hanno meno incombenze e si guadagna molta più tranquillità: il resto del tempo può essere dedicato interamente al proprio business.

Quanto costa il servizio di domiciliazione sede legale?

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