Spid: cos’è, a cosa serve e come richiederlo

spid

Per accedere al sito dell’Inps, dall’inizio di ottobre, è richiesto il riconoscimento tramite Spid. Cos’è? Si tratta del sistema unico di accesso con identità digitale ai servizi online della pubblica amministrazione italiana. L’identità Spid è costituita da credenziali, nome utente e password, che vengono rilasciate all’utente e che permettono l’accesso a tutti i servizi online: dal sito dell’Inps a quello dell’Agenzia delle entrate, ma anche per le prenotazioni sanitarie.

Come si richiede lo Spid

Spid è gratuito e per richiederlo bisogna essere maggiorenni. Serve un indirizzo mail, un numero di telefono cellulare, un documento di identità valido e la tessera sanitaria con codice fiscale. Per ottenerlo, occorre scegliere tra uno degli Identity provider e avviare la procedura dal loro sito. Questi provider sono Aruba, Infocert, Intesa, Namirial, Poste Italiane, Register, Sielte, Tim e Lepida.

Gli step per la registrazione

Per registrarsi serve inserire i propri dati anagrafici, in modo tale da creare le credenziali Spid e, infine, bisogna procedere con il riconoscimento. Nel caso venga fatto fisicamente, è sempre gratuito. Alcuni provider, invece, chiedono il pagamento di una quota in caso di riconoscimento da remoto (tramite webcam o video chiamata). Durante il lockdown, questa possibilità veniva offerta in certi casi senza costi, e anche adesso alcuni provider possono lasciare il riconoscimento da remoto gratuito.

Come scegliere il livello di sicurezza

Gli Identity provider forniscono Spid che hanno diversi livelli di sicurezza. Ogni utente deve scegliere la modalità più comoda per il riconoscimento (di persona, tramite carta di identità elettronica (CIE), carta nazionale dei servizi (CNS), firma digitale o tramite webcam). Una volta definito il livello di sicurezza che serve, bisogna proseguire con la scelta del provider. Chi è già cliente di uno di questi provider, avrà una procedura semplificata per ottenete lo Spid.

Dove si usa lo Spid

L’identità digitale serve per accedere a molti servizi della pubblica amministrazione. Facciamo qualche esempio: anagrafe, servizi Inail, Inps, fascicolo sanitario elettronico, Agenzia delle entrate, solo per citare alcuni servizi. È più sicuro di un pin e consente di essere identificati in maniera univoca.

Lo Spid per accedere al sito dell’Inps

Dal primo ottobre 2020 per accedere all’area riservata dal portale, l’Inps non rilascia più il pin come credenziale di accesso ai servizi dell’istituto. Il pin verrà sostituito dallo Spid, il sistema pubblico di identità digitale, che permette di accedere ai servizi on-line della Pubblica amministrazione”. E chi fino ad oggi accede solo col pin? “Il passaggio avverrà gradualmente, come precisato dalle istruzioni fornite con la circolare Inps 17 luglio 2020, n. 87”, che prevede una fase transitoria che si concluderà con la cessazione della validità del codice alfanumerico.

Più affidabilità e sicurezza

Identificarsi con lo Spid garantisce diversi livelli di sicurezza, che possono essere scelti in fase di attivazione, ed è più sicuro di una password alfanumerica. Il primo livello permette di accedere ai servizi online attraverso un nome utente e una password. Il secondo livello permette l’accesso attraverso un nome utente e una password scelta dall’utente, più la generazione di un codice temporaneo di accesso. Il terzo livello, infine, richiede un supporto fisico per l’identificazione. I tempi di rilascio dipendono dall’identity provider: alcuni ci impiegano pochi giorni, per altri l’attesa è quasi infinita. La celerità nell’attivazione dello Spid, quindi, può essere un parametro da tenere in considerazione nel momento in cui si sceglie il provider per farsi rilasciare l’identità digitale.

E-commerce: gli obblighi fiscali per iniziare a vendere online

E-commerce e obblighi fiscali
Fonte: eCommerce B2c in Italia: aumenta il mercato, ma cresce il valore? – Osservatorio eCommerce B2c

In Europa il mercato dell’e-commerce segna un aumento di vendite di prodotti che crescono quattro volte più velocemente delle vendite offline. I dati sono quelli del rapporto Future opportunities in FMCG- e-commerce, di Nielsen e si focalizzano sull’e-grocery, ossia l’e-commerce nel largo consumo, in 34 mercati. Tra le evidenze, c’è quella di un’espansione decisa nei prossimi anni, con un tasso di crescita medio del 18,4 per cento annuo, con le vendite globali che raggiungeranno i 400 miliardi di dollari entro il 2022.

I settori

Gli acquisti online in Italia nel 2019 valgono 31,6 miliardi di euro, guardando i dati relativi dell’Osservatorio eCommerce B2c promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm. Il valore degli acquisti online da smartphone costituisce il 40% dell’e-commerce totale: quest’anno il telefonino diventerà il primo canale per l’e-commerce. L’Arredamento segna la crescita più importante (+30%, 1,7 miliardi di euro), insieme al Food&Grocery (+42%, 1,6 miliardi di euro). I servizi, Turismo e Trasporti, pesano per 10,9 miliardi di euro.

Quali sono i Paesi che vendono di più

Nella classifica dei Paesi che vendono maggiormente online, la Cina si conferma il primo mercato, con oltre mille miliardi di euro. Seguono gli Stati Uniti, con 620 miliardi di euro nel
2018 e poi l’Europa con 600 miliardi di euro, dove primeggiano Francia, Germania e Regno Unito. Più arretrata l’Italia ma in crescita.

Cosa si deve fare, quindi, per iniziare un’attività di e-commerce?

Il primo passo: aprire la partita Iva

Per prima cosa occorre scegliere la forma giuridica con il proprio consulente. La ditta individuale è l’opzione più rapida, oppure si può optare per una società se si è in presenza
di soci. Questa seconda possibilità, però, prevede la costituzione dal notaio.

Scegliere il tipo di attività

Il passo successivo da compiere, una volta definita la forma giuridica, è distinguere il commercio elettronico di prodotti alimentari e non alimentari: il primo comporta più adempimenti. Le comunicazioni/adempimenti (apertura partita Iva, Scia, iscrizione in CCIAA e iscrizione all’Inps) oggi vengono semplificate in un’unica pratica che si chiama COMUNICA. Si può presentare direttamente online alla Camera di commercio tramite un intermediario. Occorre anche attivare un indirizzo di posta certificata, al momento dell’iscrizione in Camera di commercio e una firma digitale, che è diversa dallo Spid (identità digitale).

Occhio alle commissioni

I guadagni possono variare anche in base al canale che si sceglie per vendere. Per questo occorre fare una valutazione approfondita sulle piattaforme più idonee per vendere i propri prodotti (Amazon, Etsy, eBay) e verificare la percentuale di commissioni che vengono trattenute sul prodotto venduto ed eventuale costo fisso richiesto mensilmente o all’iscrizione.

Sempre nell’ottica di massimizzare i guadagni, sarà buona regola passare in rassegna i conti correnti bancari, al fine di individuare quello più economico: costi come il canone mensile o quello sulle transazioni possono influire negativamente sugli incassi.

Le forme di pagamento

Maggiori sono i metodi di pagamento accettati, più alte sono le probabilità di aumentare il numero di clienti. Meglio ampliare quindi i tipi di pagamenti accettati (PayPal, Satispay e, ovviamente, carta di credito), tenendo in considerazione sempre i costi fissi da riconoscere alla piattaforma. Con l’avvento della fatturazione elettronica (non obbligatoria per il regime forfettario), è bene informarsi anche sul software da utilizzare.

Il regime fiscale

La convinzione diffusa è che il regime forfettario sia quello più conveniente. Nella maggior parte dei casi è così, ma non sempre. Se si sceglie di aprire una ditta individuale, quindi, occorre verificare la convenienza. Oltre al regime fiscale ci sarà da considerare anche il costo che si deve sostenere per la gestione della previdenza obbligatoria (Inps). Sia che si scelga la forma individuale o la forma di società, l’imprenditore o l’amministratore dovrà almeno pagare i contributi fissi Inps sul minimale che per il 2020 ammontano a 3.850,52 euro da versare in rate trimestrali, ognuna da 962,64 euro.

Gestione fiscale e contabile. Fare la scelta giusta

Tirando le somme, avviare un’attività di e-commerce non è una passeggiata. Ci sono delle incombenze da rispettare, sia nella fase di costituzione che in quella di gestione della contabilità. Anche per questo motivo, quindi, è bene affidarsi ad un consulente o uno studio contabile che sappia fornire il supporto necessario in ogni fase del processo di avvio della nuova attività. Dalla scelta del regime fiscale, fino alla gestione ordinaria degli aspetti fiscali.

Liberi professionisti, imprese e partite iva: bonus e aiuti per fronteggiare l’emergenza coronavirus

Emergenza Corona Virus Partite Iva Italia

Il decreto Cura Italia, approvato dal Consiglio dei ministri, è stato firmato da Sergio Mattarella, ed è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, entrando quindi ufficialmente in vigore. Per l’emergenza coronavirus, si autorizza l’emissione di titoli di Stato per un importo fino a 25 miliardi di euro per il 2020. Nel provvedimento sono previste misure di sostegno a famiglie, lavoratori, commercianti e professionisti.

Il bonus di 600 Euro per i professionisti senza Cassa

Per il mese di marzo, ai liberi professionisti con partita Iva al 23 febbraio 2020 e ai collaboratori attivi alla stessa data, non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, è riconosciuta un’indennità per il mese di marzo pari a 600 euro. Per ottenere il bonus, il professionista dovrà presentare domanda all’Inps. Lo potrà fare anche in via telematica, secondo quanto precisato dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. L’indennità è esentasse.

Quando e come richiedere i bonus: i professionisti senza Cassa

L’Inps informa che le domande per usufruire del bonus di 600 euro possono essere presentate dal 1 aprile 2020.

La misura, prevista dal decreto “Cura Italia”, per fronteggiare l’emergenza coronavirus riguarda i liberi professionisti con partita Iva (iscritti alla gestione separata Inps) e co.co.co., non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie; lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali dell’Ago; i lavoratori dipendenti stagionali del turismo e degli stabilimenti termali; i lavoratori del settore agricolo a tempo determinato, non titolari di pensione, che nel 2019 abbiano effettuato almeno 50 giornate effettive di attività di lavoro agricolo; i lavoratori dello spettacolo.

Per richiedere il bonus da mercoledì 1 aprile, bisognerà registrarsi sul sito dell’Inps, con “una procedura semplificata con un Pin semplificato” che arriva direttamente sul cellulare e procedere con l’invio della domanda per via telematica.

Il bonus di 600 Euro per i professionisti con Cassa

È previsto un bonus anche per i liberi professionisti iscritti alle Casse di previdenza, ad ordini o albi professionali, definito “reddito di ultima istanza”. Il decreto legge per questo bonus ha stanziato 300 milioni di euro.

Quando e come richiedere i bonus: i professionisti con Cassa

Per i professionisti iscritti alle relative Casse di previdenza (medici, commercialisti, architetti, avvocati, notai, giornalisti, ecc.) il contributo arriva dal Fondo per il reddito di ultima istanza, istituito dall’articolo 44 del decreto legge 18/2020. Il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, insieme al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha firmato il decreto interministeriale che definisce le modalità di attribuzione del fondo per il reddito di ultima istanza.

L’indennità di 600 euro per il mese di marzo può essere richiesta alla propria Cassa dal 1 aprile e sarà erogata a chi ha avuto redditi fino a 35mila euro oppure tra 35 e 50mila, nell’anno di imposta 2018, e abbia subito cali di attività di almeno il 33% nei primi tre mesi del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019.

100 euro di bonus per chi va al lavoro

I lavoratori che in questi giorni, nonostante le restrizioni del governo, continuano a recarsi sul posto di lavoro, hanno diritto a 100 euro in più nella busta paga di aprile o a un conguaglio, riconosciuto dal datore di lavoro. L’erogazione, in questo caso, è automatica.

Stop ritenute per i professionisti

I professionisti e consulenti che hanno ricavi o compensi sotto i 400mila euro non dovranno versare le ritenute d’acconto sui ricavi e i compensi percepiti fino al 31 marzo, purché nel mese di febbraio non siano state sostenute spese per lavoro dipendente o assimilato. Bisognerà presentare una dichiarazione dalla quale risulti che i ricavi o compensi non siano soggetti a ritenuta. I contribuenti che decideranno per la sospensione della ritenuta d’acconto, dovranno procedere al versamento dell’ammontare dovuto entro il 31 maggio, anche in 5 rate.

Sospesi versamenti per imprese e lavoratori autonomi

All’articolo 62, commi 2, 3 e 5, del Decreto si stabilisce la sospensione dei versamenti per imprese e lavoratori autonomi in autoliquidazione di ritenute e trattenute relative all’addizionale regionale e comunale, Iva e contributi previdenziali e assistenziali. Sono interessate imprese e professionisti con ricavi o compensi non superiori a 2 milioni di euro nell’anno d’imposta precedente e i versamenti che scadono tra l’8 marzo 2020 e il 31 marzo 2020. I versamenti sospesi sono effettuati, senza applicazione di sanzioni ed interessi, in un’unica soluzione entro il 31 maggio 2020 o mediante rateizzazione, fino a un massimo di 5 rate mensili, a decorrere dal mese di maggio 2020.

L’affitto di botteghe e negozi

Tra le misure a sostegno delle attività produttive, c’è un credito di imposta del 60% del canone di affitto del mese di marzo 2020 della bottega o del negozio in cui si svolge la propria attività commerciale. Il beneficio non viene riconosciuto a quelle attività che sono rimaste aperte nei giorni di chiusure disposte nel Dpcm dell’11 marzo 2020. Il credito di imposta sarà spendibile in compensazione. È previsto, inoltre, un credito di imposta del 50% delle spese di sanificazione degli ambienti sostenute per contenere il contagio da Covid-19, fino ad un massimo di 20mila euro.

Congedo parentale e permessi per assistere i disabili

I lavoratori con figli fino a 12 anni, rimasti a casa per la sospensione delle lezioni, hanno diritto, a decorrere dal 5 marzo, e per un periodo di quindici giorni, ad un congedo per il quale è riconosciuta una indennità pari al 50% della retribuzione. Diversamente possono richiedere un bonus di 600 euro per pagare la baby-sitter. Sulle modalità di attuazione del congedo, occorre attendere direttive dall’Inps. I lavoratori che hanno familiari da assistere possono ottenere automaticamente dal proprio datore di lavoro fino a 12 giorni di congedo “104” per assistere i familiari per il mese di marzo e per quello di aprile, che possono anche essere sommati.

  • Cura Italia: scarica il decreto in pdf
  • Regime forfettario, cosa cambia nel 2020 per le partite Iva

    forfettario partita iva

    Nel 2020 il governo ha introdotto dei nuovi limiti per i lavoratori autonomi e professionisti che hanno aderito al regime forfettario. Dal 1° gennaio di quest’anno infatti, ci sono dei nuovi paletti per i lavoratori che nel 2019 avevano aderito al regime forfettario, quello che prevede la flat tax al 15 per cento (5 per cento per le nuove attività e start-up). Resta escluso chi ha percepito redditi da lavoro dipendente o da pensione superiori a 30 mila euro. Scopriamo nel dettaglio quali sono le nuove regole e chi è costretto a lasciare il forfettario per entrare nel regime ordinario.

    Chi può essere forfettario?

    Prima di passare in rassegna le modifiche del regime forfettario che prevede una tassazione agevolata per i titolari di partita Iva, vediamo chi può aderire alla flat tax. Possono optare per questo regime i titolari di partita Iva che conseguono ricavi o percepiscono compensi non superiori a 65mila euro in un anno. Se si svolgono due attività, con due codici Ateco distinti, occorre considerare la somma dei ricavi e dei compensi di tutte le attività. Può accedere al forfettario chi ha sostenuto spese per un importo complessivo non superiore a 20mila euro lordi per lavoro accessorio, lavoro dipendente e compensi a collaboratori, anche a progetto.

    Chi resta escluso dal regime forfettario

    I lavoratori autonomi o professionisti che superano i 65mila euro di ricavi in un anno non possono accedere al regime forfettario. Sono escluse anche le persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali ai fini Iva o di regimi forfettari di determinazione del reddito. Niente flat tax al 15 per cento neanche per chi ha avuto nell’anno precedente a quello di riferimento controllo diretto o indiretto di società a responsabilità limitata con attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte individualmente.

    Le nuove regole 2020 nella legge di bilancio

    La legge di bilancio 2020, veicolata nella legge 27 dicembre 2019, all’articolo 1, dai commi 691 e 692, introduce alcune modifiche al regime forfettario. Non possono più restare nel regime forfettario i titolari di reddito da lavoro dipendente superiore a 30mila euro e i titolari di partita Iva che sostengono spese per compensi ai collaboratori di importo superiore a 20mila euro.

    La fattura elettronica resta facoltativa

    Fino ad oggi i titolari di partita Iva forfettari sono stati esclusi dai nuovi adempimenti Iva, ma dal 2020 dovranno fare i conti con il Fisco digitale: lo scontrino elettronico diventa obbligatorio anche per le partite Iva forfettarie, ma resta facoltativa la fatturazione elettronica. Esce dalla tassazione agevolata anche chi ha percepito ricavi e compensi per più del 50 per cento dall’ex datore di lavoro o soggetto riconducibile. Questa limitazione era già stata prevista dal 2019, anno in cui il regime forfettario era stato esteso ai redditi fino a 65mila euro annui.

    Il limite per dipendenti e pensionati

    Per capire meglio, facciamo qualche esempio pratico. Ipotizziamo che un soggetto nel 2019 abbia incassato redditi da lavoro dipendente superiori a 30mila euro, e aveva aperto una partita Iva con il regime forfettario (pagando un’aliquota del 15 per cento sui redditi al netto del forfait, che dipende dal codice Ateco dell’attività di riferimento). Nel 2020, secondo le nuove regole introdotte dal governo, questo lavoratore deve abbandonare il regime forfettario a tassazione agevolata per passare all’ordinario. Stesso discorso per chi ha percepito redditi da pensione superiori a 30mila euro e magari aveva aperto la partita Iva forfettaria per una nuova attività. Anche in questo caso perderebbe i requisiti. Se il lavoratore fosse stato licenziato, invece, non è soggetto al limite di reddito di 30mila euro.

    Taglio del cuneo fiscale: da luglio 2020 in busta paga arriva il bonus fino a 100 euro

    Bonus 100 euro 2020 cuneo fiscale

    Busta paga più ricca dal 1° luglio 2020. Il Consiglio dei Ministri, il 23 gennaio, ha approvato il decreto che taglia il cuneo fiscale per i lavoratori che guadagnano fino a 40mila euro all’anno. Il bonus fiscale in busta arriverà fino a 100 euro: 20 euro al mese in più per chi già incassa il bonus Renzi, 100 euro per chi guadagna fino a 35mila euro, che tendono ad azzerarsi raggiungendo la soglia dei 40mila euro.

    A chi non spetta nessun beneficio

    La sforbiciata non riguarda i redditi più bassi. Restano esclusi dai benefici, infatti, i lavoratori che all’anno guadagnano fino a 8.145 euro, e che già oggi non pagano le tasse. Il governo sta studiando una riforma la prossima primavera che possa includere anche queste fasce di reddito più deboli. Non sono interessati dalla riforma fiscale neanche i pensionati e i lavoratori autonomi, ma solo i lavoratori dipendenti.

    Il taglio del cuneo in base al reddito: i redditi fino a 24.600 euro

    Il decreto legge che, in attuazione del comma 7, dell’art. 1 della Legge 160/2019 (ossia la legge di bilancio 2020), stabilisce la modalità del taglio del cuneo fiscale riguarda, oltre ai lavoratori dipendenti, anche i titolari di alcuni redditi assimilati. Iniziamo dagli 11 milioni di lavoratori che già oggi intascano il bonus Renzi da 80 euro, e che guadagnano da 8.145 a 24.600 euro annui: riceveranno 20 euro in più al mese, arrivando così a 100 euro di bonus complessivi. Quest’anno si parte con 600 euro, ma a regime saranno 1.200 euro.

    I redditi tra 26.600 e 28.000

    Accederanno al nuovo bonus anche i redditi compresi tra i 26.600 e i 28mila euro. Fino ad oggi il vantaggio fiscale si fermava a 26.600 euro, iniziando a diminuire superata la soglia dei 24.600 euro. Da luglio, quindi, chi guadagnerà fino a 28mila euro, si ritroverà in busta paga un bonus di 100 euro. E se si dovesse sforare? Fino ad ora, il bonus andava restituito interamente a fine anno. Con le nuove norme, invece, in caso di superamento del tetto dei 28mila euro, il lavoratore potrà restituire il bonus ricevuto in quattro rate.

    Per i redditi tra 28 e 35mila euro arriva la detrazione fiscale

    L’aliquota Irpef per chi guadagna più di 28mila euro (e fino a 55mila) sale dal 27 al 38%. Per i lavoratori dipendenti che nel 2020 guadagneranno tra i 28 e i 35mila euro, invece del bonus viene introdotta una detrazione fiscale precisa. Si tratta di un aumento tra i 100 e gli 80 euro, a scalare. Per i redditi superiori ai 35mila euro, infine, la detrazione degli 80 euro è destinata a calare gradualmente, fino ad azzerarsi al raggiungimento dei 40mila euro. Una precisazione: l’alleggerimento della pressione fiscale per i lavoratori con redditi fino a 28mila euro è strutturale. La detrazione per i redditi compresi tra i 28 e i 35mila euro, invece, è prevista da luglio come misura sperimentale, in attesa di una riforma fiscale più ampia, da parte del governo.

    La riforma fiscale di primavera

    Tra le ipotesi più discusse, da inserire nella prossima riforma fiscale, prevista ad aprile, c’è un accorpamento degli scaglioni di reddito e delle aliquote, intervenendo anche sul valore delle aliquote stesse, ritoccandole al ribasso. Oggi gli scaglioni Irpef sono cinque, partono da un’aliquota del 23 per cento, fino ad arrivare al 43 per cento per i redditi superiori ai 75mila euro.

    Detrazioni spese mediche 2020: scatta l’obbligo della tracciabilità

    Detrazione spese mediche 2020

    Novità in vista per i contribuenti che vogliono detrarre le spese mediche. Nella legge di bilancio 2020, infatti, per aver diritto alle detrazioni per le spese sanitarie del 19% bisognerà pagare con strumenti elettronici e tracciabili. Non in tutti i casi, però. Facciamo chiarezza per capire quando occorre evitare di usare il contante per aver diritto alla detraibilità fiscale.

    Detrazione spese mediche: in quali casi è obbligatorio pagare con carte

    Con le nuove regole per recuperare le spese detraibili, ai sensi dell’art. 15 del Testo Unico delle Imposte sul Reddito (Tuir), e altre disposizioni normative, dal 1 gennaio 2020 è scattata la stretta all’uso del contante. Le nuove norme impongono l’utilizzo di metodi di pagamento tracciabili come carte di debito e di credito, bonifici e assegni, per le visite mediche in studi privati. Il discorso vale anche per esami e ricoveri in strutture private non accreditate al servizio sanitario nazionale.

  • Detrazione spese mediche 2020: l’infografica in pdf
  • Le spese mediche che si possono ancora pagare in contanti

    Le nuove disposizioni normative prevedono alcune eccezioni. Si potrà continuare a pagare in contanti, con la possibilità di detrarre il 19% in sede di dichiarazione dei redditi, per tutte le spese che riguardano l’acquisto di medicinali e dispositivi medici; per il pagamento di prestazioni sanitarie effettuate in strutture pubbliche e per il pagamento di prestazioni sanitarie in strutture private ma accreditate al servizio sanitario nazionale. In questi casi, quindi, il contribuente che pagherà in contanti, avrà diritto a beneficiare della detrazione Irpef.

    Stop al contante anche per altri pagamenti

    La scelta del governo è chiara: incentivare l’utilizzo di pagamenti elettronici e tracciabili, al fine di contrastare l’evasione fiscale. Le spese mediche costituiscono una voce di costo importante per l’Erario, tanto che ogni anno due contribuenti su tre portano in detrazione almeno una spesa sanitaria. La legge di bilancio, riferendosi all’articolo 15 del Tuir, il Testo unico delle imposte sui redditi, precisa che per ottenere lo sconto fiscale serve pagare con strumenti tracciabili, tra gli altri: le attività sportive dei figli, gli abbonamenti ai mezzi pubblici, le prestazioni veterinarie, le onoranze funebri, gli affitti universitari, le parcelle degli agenti immobiliari, il restauro di beni vincolati e gli strumenti per contrastare disturbi certificati dell’apprendimento.

    Il nuovo limite per le detrazioni

    I redditi alti devono fare i conti con nuove limitazioni per portare in detrazione gli oneri fiscali. La manovra finanziaria, infatti, fissa il limite a 120 mila euro: se il reddito del contribuente supera questa soglia, le detrazioni dell’art. 15 del Tuir, comprese quelle del 19% per le spese mediche, per capirci, spettano “per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 240 mila euro, diminuito del reddito complessivo, e 120 mila euro”. Detto in altre parole, i rimborsi Irpef per chi guadagna più di 120 mila euro si riducono progressivamente, fino a diventare nulli per chi supera i 240 mila euro di reddito complessivo.

    Qualche esempio pratico

    Per rendere più chiara la nuova situazione fiscale, facciamo qualche esempio pratico. Il contribuente che vuole recuperare il 19% della fattura pagata al dentista privato, dovrà saldare il conto con un sistema di pagamento tracciabile, come carte di pagamento, bonifico bancario o assegno.

    Chi, invece, compra in farmacia medicinali, per ottenere il rimborso Irpef, può pagare anche quest’anno in contanti.

    Nel caso di una visita specialistica in una struttura pubblica, è ancora consentito il pagamento cash, ma se si tratta di una clinica privata, invece, per ottenere il rimborso degli oneri fiscali del 19%, bisognerà pagare esclusivamente con strumenti tracciabili, controllando che nella fattura sia esplicitamente indicato il metodo di pagamento elettronico.

    Bisognerà anche ricordarsi di conservare la ricevuta di pagamento e la fattura, da presentare in fase di compilazione del modello 730 o modello Unico.

    INFOGRAFICA: detrazioni spese mediche 2020

    Infografica detrazione spese mediche 2020, stop contante
    Download pdf: Infografica detrazione spese mediche 2020

    Ancora qualche dubbio su spese sanitarie, tracciabilità del pagamento e detrazioni 2020? Per evitare di incappare in errori, conviene affidarsi alla consulenza di professionisti. Scopri i servizi di assistenza fiscale di Ellequadra.