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Professione Youtuber: ecco cosa fare per essere in regola col Fisco

Da semplice piattaforma per condividere video a fonte di guadagno. YouTube, fondato nel 2005 da Steve Chen, Jawed Karim e Chad Hurley, è diventato un vero e proprio lavoro per i “video creator”. Nel 2020, secondo la classifica di Forbes, lo youtuber più pagato al mondo è Ryan Kaji, un bambino di dieci anni. È diventato famoso per aprire i pacchi con dentro i giocattoli e recensirli, guadagnando fino a 30 milioni di dollari. Adesso non tutti gli youtubers raggiungono queste cifre, ma se quella del creator diventa la professione principale, è bene mettersi in regola con il Fisco, per evitare brutte sorprese. Ecco come.

Youtuber: Attività occasionale o lavoro principale?

Per il Fisco è possibile svolgere un’attività in via occasionale, quindi senza la necessità di aprire la partita Iva. In questo caso i compensi sono tassati in “ritenuta d’acconto”, ossia una tassa del 20% trattenuta e versata all’erario direttamente dal committente. Perché l’attività sia occasionale, però, bisogna rispettare determinate condizioni: singole collaborazioni di breve durata e non continuative; il volume d’affari deve essere contenuto. Se il canale Youtube diventa la principale attività, allora occorre aprire la partita Iva. 

professione Youtuber: p.iva e inquadramento fiscale per youtuber

Partita IVA per Youtuber

La prima cosa cosa da fare, in caso di apertura della partita Iva, è rivolgersi a un consulente o uno studio contabile in grado di fornire le informazioni e la consulenza necessaria, soprattutto per chi intende avviare un’attività digitale come lo youtuber, ma anche il web designer o l’influencer. Bisognerà poi individuare il codice Ateco legato all’attività: se per un avvocato, un architetto o un ingegnere la scelta è semplice, per una professione come quella dello youtuber non si tratta di un passaggio così scontato.

La scelta del codice Ateco per Youtuber

Per lo Youtuber manca, infatti, in codice Ateco specifico. Partiamo dal presupposto che un creator guadagna tramite sponsorizzazioni e inserzioni pubblicitarie: in questo caso il codice Ateco corretto è “73.11.02 – Conduzione di campagne pubblicitarie”, oppure “73.12.00 – Attività delle concessionarie pubblicitarie”. Nel caso l’attività dovesse prevedere anche altri introiti, potrebbe essere necessario aggiungere un altro codice Ateco. Chi si occupa, invece, prevalentemente di vendita di prodotti online, oltre alla gestione del canale YouTube, dovrà seguire le regole previste per l’e-commerce, con tutti gli obblighi fiscali del caso.

L’iscrizione in camera di commercio per Youtuber

Questi codici Ateco presuppongono l’avvio di un’attività commerciale e occorre, quindi, l’iscrizione in camera di commercio. Se il soggetto è individuale dovrà pagare i diritti di segreteria di iscrizione e il diritto annuo della camera di commercio: la spesa è di circa 100 euro. Servirà anche munirsi della PEC (posta elettronica certificata) e della firma digitale (che non è lo SPID). Una volta avvenuta la registrazione in camera di commercio, in automatico il soggetto verrà iscritto alla gestione commercianti dell’Inps.

La gestione commercianti dell’Inps

L’iscrizione alla gestione commercianti prevede il versamento di contributi fissi che annualmente vengono stabiliti dall’Inps su una soglia di reddito, superata la quale, in fase di dichiarazione dei redditi, verrà applicato il conguaglio. Se lo youtuber aderisce al regime forfettario, può scegliere di usufruire della riduzione della contribuzione. L’opzione deve essere esercitata entro il 28 febbraio per il primo anno e revocata nel caso di uscita dal regime forfettario o se desidera versare i contributi per intero.

Regime fiscale per Youtuber: youtuber in regola con il fisco

La scelta del regime fiscale più conveniente per Youtuber

Il prossimo passo da compiere riguarda la scelta del regime fiscale per la partita Iva dello youtuber. Occorre sempre valutare i costi fissi e variabili che lo youtuber andrà a sostenere e sulla base di un ipotetico fatturato, scegliere il regime fiscale più conveniente. Se i costi sono minimi o assenti, il regime forfettario è la scelta più indicata per chi non supera il 65mila euro di ricavi e compensi annui. Si pagherà un’imposta sostitutiva con aliquota al 5% per i primi cinque anni e poi al 15%. Tra i benefici da sfruttare: non c’è l’Iva in fattura, l’esonero da esterometro e studi di settore e l’esonero della tenuta della contabilità (al momento non c’è l’obbligo di fatturazione elettronica, ma solo quello di numerare e conservare le fatture). Si pagherà l’imposta sostitutiva sul fatturato decurtato di una quota percentuale, legata all’indice di redditività del codice Ateco, che nel caso dello youtuber è del 22%. Se supera la soglia dei 65.000 di ricavi nell’anno, decade dal regime fiscale agevolato e l’anno successivo verrà applicato quello ordinario.

Regime forfettario per Youtuber: chi può aderire

La scelta del regime forfettario per la partita Iva dello youtuber è legata al rispetto di alcune condizioni. Oltre al tetto dei 65mila euro annui di ricavi e compensi, occorre essere residenti in Italia. Non è possibile aderire al forfettario neanche per i soggetti che risultano titolari di quote di partecipazione a società o associazioni, oppure che controllano direttamente o indirettamente una Srl dello stesso settore. Esclusi anche coloro che hanno percepito più di 30mila euro da redditi da lavoro dipendente o da pensione, nell’anno fiscale precedente all’apertura dalla partita Iva. 

E-commerce e Iva: ecco perché il regime OSS semplifica le vendite online

Dal 1° luglio 2021 sono cambiate le regole sull’applicazione dell’IVA sui beni acquistati e venduti online, grazie all’introduzione del regime OSS. L’intento è quello di rendere più facili le transazioni commerciali elettroniche tra Paesi dell’Unione Europea, facendo diminuire le frodi e assicurando alle imprese Ue condizioni di parità con le imprese di Paesi terzi. Le “vendite intracomunitarie a distanza” sono soggette a una nuova normativa fiscale: si applica l’Iva nel Paese di provenienza dei beni solo se il valore di questi non supera i 10.000 euro nell’anno nella comunità europea. Oltrepassata tale soglia, l’imposta sarà applicata in riferimento all’aliquota del Paese di destinazione.

IVA OSS per Ecommerce

I vantaggi del nuovo regime OSS

La normativa fiscale è cambiata con il D.Lgs. n. 83/2021 che recepisce nell’ordinamento italiano gli articoli di riferimento della Direttiva Ue 2017/2455. La novità riguarda l’introduzione del regime Iva opzionale OSS (Open Shop Stop) che consente all’operatore economico, ossia al venditore, che decide di sottoscriverlo, di effettuare la registrazione telematica Iva in un solo Stato Ue per tutte le vendite a distanza di beni/servizi effettuate nei confronti dei consumatori privati. Questa possibilità facilita le transazioni online e prevede la presentazione di una dichiarazione telematica trimestrale unica ai fini Iva e contestuale versamento dell’importo dovuto.

Perché il regime Iva OSS semplifica le vendite

Le nuove regole rendono più semplici le compravendite online perché l’adesione al regine Iva OSS, che sostituisce il precedente MOSS, consente a chi vende un prodotto per via telematica di non identificarsi ai fine Iva in tutti gli Stati membri in cui vende i prodotti. Questo significa meno incombenze fiscali. Con la dichiarazione telematica trimestrale Iva si effettua un unico versamento per l’Iva dovuta in tutti gli Stati membri di consumo. 

Come pagare l’Iva secondo il regime OSS

L’operatore economico, sempre il venditore, per l’Agenzia delle Entrate “soggetto passivo”, che si iscrive all’OSS, pagherà l’Iva dovuta allo Stato membro di identificazione, applicando le aliquote proprie degli Stati membri di consumo. Facciamo un esempio. Nel caso si registrasse in Italia, fino a 10.000 euro l’Iva sarà quella applicata dall’Italia, con aliquota ordinaria al 22%. Se dovesse superare i 10.000 euro di vendite in tutti gli stati UE, allora l’Iva applicata sarà quella calcolata con le aliquote degli Stati membri di consumo. La semplificazione sta nel fatto che il “soggetto passivo” pagherà direttamente in Italia l’importo risultante della dichiarazione Iva, relativo alle operazioni effettuate all’interno della Ue. Spetterà poi allo Stato italiano provvedere a ripartire gli importi spettanti ai vari Stati comunitari. 

Commercio online in crescita

Le vendite sul web hanno fatto registrare un’impennata nel 2020, soprattutto a causa del lockdown. L’Istat ha evidenziato un aumento del +34% del commercio elettronico tra gennaio e dicembre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. A dicembre 2020 le vendite online hanno messo a segno un aumento del 33,8% rispetto ai dodici mesi precedenti. L’anno scorso, sempre secondo l’ultimo rapporto Istat, è stato un anno difficile per il commercio (-5,4%), ma con le vendite online in aumento, insieme all’utilizzo di pagamenti elettronici. 

Dichiarazione Iva OSS e versamento dell’imposta

La dichiarazione Iva per i soggetti passivi che hanno aderito al regime OSS deve essere presentata, per via telematica, per ciascun periodo di imposta, entro la fine del mese successivo al termine di ciascun trimestre. È bene precisare che la dichiarazione Iva dovrà essere presentata anche se non è stata effettuata alcuna operazione nel corso del trimestre di riferimento. I soggetti registrati al regime OSS la presenteranno direttamente o tramite un intermediario abilitato.

Gestione fiscale e contabile. Fare la scelta giusta

Per la gestione fiscale e contabile della propria attività è importante fare la scelta giusta. Ci sono delle incombenze da rispettare, sia nella fase di costituzione che in quella di gestione della contabilità. Anche per questo motivo, quindi, è bene affidarsi ad un consulente o uno studio contabile che sappia fornire il supporto necessario in ogni fase del processo di avvio della nuova attività. Dalla scelta del regime fiscale, fino alla gestione ordinaria degli aspetti fiscali.

Lavoro agile nel post-Covid: torna a crescere la domanda di coworking

Prima della pandemia, lo smart working riguardava circa 570mila lavoratori. Durante la fase più acuta dell’emergenza Covid, il lavoro agile ha interessato il 97% delle grandi imprese, il 94% delle pubbliche amministrazioni e il 58% delle Pmi, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori. Dieci volte tanto, secondo i dati del Politecnico di Milano.

Superata la fase emergenziale, si sta diffondendo un nuovo concetto di smart working, un modello ibrido. E in questo scenario, gli spazi di coworking stanno tornando centrali. Cerchiamo di capire perché. 

Coworking milano Ellequadra

Il modello ibrido

Si sente sempre più parlare di modello ibrido. Durante il lockdown la maggior parte dei lavoratori ha sperimentato il lavoro agile. Flessibilità e autonomia erano una scelta obbligata per contenere i contagi, ma una volta passata la fase acuta, non si torna più indietro. La prassi lavorativa come la si conosceva prima del Covid è una realtà superata. Attualmente, infatti, la percentuale di lavoratori da remoto è ancora circa il 30% dei dipendenti e le grandi aziende prevedono che almeno il 60% della forza lavoro continuerà da remoto. 

Il nuovo equilibrio

Si può chiamare “nuova normalità”, oppure lavoro ibrido. La tendenza è quella di ricercare un nuovo equilibrio: ci sono aziende che si stanno orientando verso una modalità “remote-first”, ossia che prevedono lo smart working come prioritario rispetto a quello in ufficio. E poi ci sono realtà che mirano alla scelta “office-first”, in cui il lavoro sul luogo fisico resta prioritario. Ogni azienda può bilanciare i due aspetti in maniera diversa, ma la percentuale di lavoro in presenza non sembra destinata a tornare ai livelli pre Covid. 

Il nuovo equilibrio agile delle aziende: il Coworking

Gli esempi all’estero e in Italia

Facebook lo ha già annunciato nei mesi scorsi: i lavoratori potranno lavorare sempre da remoto. Microsoft offre la possibilità di lavorare in smart working per metà settimana. PayPal e Viacom stanno ampliando le ore da remoto. Spostandoci in Italia, lo scenario è molto vario. Le aziende si stanno riorganizzando, ampliando l’adozione del lavoro agile e con nuovi spazi negli uffici destinati al relax. I dipendenti della Pubblica amministrazione, invece, dal 15 ottobre sono tornati a lavorare in presenza. E sempre da metà ottobre, per tutti, è scattato l’obbligo di green pass. Su questo aspetto, il Dl 127/2021 precisa che l’obbligatorietà del certificato verde non può essere aggirata con lo smart working. 

Come cambia il concetto di ufficio 

Se lo smart working fino a due anni fa era un’esclusiva dei freelance, oggi lo scenario sta cambiando. L’organizzazione del lavoro punta adesso su regole diverse. Molti lavoratori oggi tornano a popolare i coworking. Guardando i dati di Iwg, colosso che a Milano gestisce circa 50 centri di coworking, la richiesta di postazioni in città ha fatto registrare un incremento del 66%. Le aziende, per adattarsi al nuovo “modello ibrido” cominciano ad investire anche in uffici distribuiti sul territorio, per consentire ai dipendenti di lavorare più vicino a casa, riducendo così il tempo destinato agli spostamenti. 

Il rilancio del coworking 

Uffici flessibili e scrivanie di quartiere, per vivere la “città in 15 minuti”, ottimizzando il lavoro agile e organizzandolo con nuove dinamiche, senza correre il rischio di stare sempre a casa, con conseguente difficoltà a separare l’attività lavorativa dal tempo libero. Le soluzioni si declinano in postazioni di coworking che offrono una gamma sempre più ampia di servizi e con diverse formule di abbonamento: dal giornaliero al mensile, in modo da andare incontro alle esigenze di aziende e liberi professionisti. 

Coworking: dove, come e perchè devi organizzare un Coworking a Milano

Quale scegliere 

Con un’offerta così variegata, la scelta dovrebbe premiare uno spazio di coworking che sia comodo, non troppo distante da casa e che offra i servizi necessari – dalla sala riunioni alla domiciliazione della sede legale oppure l’ufficio virtuale -, in modo da trovare tutto quello che serve nello stesso posto. Compresa l’assistenza contabile, come nel caso di Ellequadra, che tra i servizi vanta una gamma di soluzioni – dalla gestione fiscale a quella amministrativa, passando per la gestione contabile e finanziaria – utili per i liberi professionisti e aziende. Ma in grado anche di far fronte agli adempimenti fiscali del lavoratore dipendente che sceglie il coworking per le attività in smart working nella “nuova normalità”. 

Cerchi un Coworking capace di rispondere a tutte queste esigenze? Contattaci:
email: info@ellequadra.com
T. +39 02 80581003
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Contributo a fondo perduto perequativo: cos’è e come richiederlo

Tra gli aiuti stanziati a favore delle attività colpite dalla crisi durante il Covid-19, il governo con il decreto Sostegni Bis ha previsto il contributo a fondo perduto perequativo.

La misura riguarda imprese e professionisti che nel 2019 hanno conseguito ricavi o compensi non superiori a 10 milioni di euro, a condizione che nel 2020 abbiano registrato una diminuzione del reddito rispetto al 2019, in misura almeno pari alla percentuale che sarà definita da uno specifico decreto ministeriale.

fondo perduto perequativo: scadenze, condizioni e ammontare del contributo

Le scadenze per accedere al fondo perduto perequativo.

Il decreto (Dpcm 7 settembre 2021) ha spostato al 30 settembre il termine ultimo per l’invio delle dichiarazioni dei redditi degli operatori economici che intendono accedere al contributo a fondo perduto perequativo. Oltre ad aver inviato la dichiarazione dei redditi entro il 30 settembre, per avere diritto a richiedere il contributo occorre essere titolari partita Iva attiva al 26 maggio 2021. 

I requisiti per accedere al fondo perduto perequativo.

Le condizioni da rispettare per poter chiedere l’accesso al fondo perduto perequativo sono tre:

  • La prima riguarda la partita Iva, attiva almeno dal 26 maggio e che abbia percepito un reddito massimo fino a 10 milioni di euro.
  • La titolarità di reddito agrario o svolgere attività d’impresa, arte e professione con ricavi o compensi non superiori a 10 milioni di euro nel secondo periodo d’imposta precedente a quello in corso dal 26 maggio 2021.
  • Il terzo requisito riguarda il peggioramento del risultato economico.

Di quale importo dev’essere tuttavia tale peggioramento del risultato economico? Quali sono le specifiche di quest’ultimo requisito per il fondo perduto perequativo? Scopriamolo.

Percentuale di peggioramento del risultato economico per il fondo perduto perequativo

Il peggioramento del risultato economico.

Per avere diritto al fondo perduto perequativo bisogna aver registrato nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2020 un risultato economico peggiore di quello realizzato nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2019 in una misura percentuale che deve ancora essere definita da un decreto del Mef (ministero dell’Economia). Allo stesso modo restano ancora da fissare anche le modalità di quantificazione dell’ammontare del fondo che spetta ad ogni richiedente.

A quanto ammonta il contributo a fondo perduto perequativo.

Ad oggi chi ha registrato una diminuzione di fatturato tra il 2020 e il 2019 può sperare di aver diritto al contributo a fondo perduto perequativo, in attesa che venga fissata la percentuale.

Non è stata ancora definita la soglia del peggioramento del risultato economico per poter accedere alla misura.

La norma, inoltre, prevede che l’ammontare del fondo perduto dovrà essere calcolato applicando la differenza tra il risultato economico del 2019 e quello del 2020 un parametro percentuale ancora da definire e, successivamente, sottraendo al risultato così ottenuto i contributi a fondo perduto di cui si è già fruito. 

L’anticipo dei termini per accedere al fondo perduto perequativo.

Per semplificare, gli operatori economici che hanno anticipato l’invio delle dichiarazioni al 30 settembre, con un calo di reddito tra il 2019 e il 2020, ipoteticamente potrebbero fare parte della platea di beneficiari del contributo a fondo perduto perequativo.

L’anticipo dei termini si è reso necessario per permettere all’Agenzia delle Entrate di preparare le erogazioni entro il 31 dicembre 2021, ossia il limite previsto per mettere in pagamento gli aiuti di Stato Covid-19. 

Condizioni e tempi per accedere al fondo perduto perequativo

Il limite temporale per beneficiare del fondo perduto perequativo.

La situazione resta in evoluzione poiché, nel caso lo stato di emergenza fosse prorogato anche nel 2022, non si può escludere che il pagamento del contributo a fondo perduto perequativo possa slittare. Intanto chi ha subito una diminuzione di fatturato e ha presentato la dichiarazione dei redditi entro il 30 settembre, resta in attesa di capire se riceverà il contributo o meno. E, soprattutto, a quanto ammonteranno gli aiuti a fondo perduto.

 

Spid: cos’è, a cosa serve e come richiederlo

spid

Per accedere al sito dell’Inps, dall’inizio di ottobre, è richiesto il riconoscimento tramite Spid. Cos’è? Si tratta del sistema unico di accesso con identità digitale ai servizi online della pubblica amministrazione italiana. L’identità Spid è costituita da credenziali, nome utente e password, che vengono rilasciate all’utente e che permettono l’accesso a tutti i servizi online: dal sito dell’Inps a quello dell’Agenzia delle entrate, ma anche per le prenotazioni sanitarie.

Come si richiede lo Spid

Spid è gratuito e per richiederlo bisogna essere maggiorenni. Serve un indirizzo mail, un numero di telefono cellulare, un documento di identità valido e la tessera sanitaria con codice fiscale. Per ottenerlo, occorre scegliere tra uno degli Identity provider e avviare la procedura dal loro sito. Questi provider sono Aruba, Infocert, Intesa, Namirial, Poste Italiane, Register, Sielte, Tim e Lepida.

Gli step per la registrazione

Per registrarsi serve inserire i propri dati anagrafici, in modo tale da creare le credenziali Spid e, infine, bisogna procedere con il riconoscimento. Nel caso venga fatto fisicamente, è sempre gratuito. Alcuni provider, invece, chiedono il pagamento di una quota in caso di riconoscimento da remoto (tramite webcam o video chiamata). Durante il lockdown, questa possibilità veniva offerta in certi casi senza costi, e anche adesso alcuni provider possono lasciare il riconoscimento da remoto gratuito.

Come scegliere il livello di sicurezza

Gli Identity provider forniscono Spid che hanno diversi livelli di sicurezza. Ogni utente deve scegliere la modalità più comoda per il riconoscimento (di persona, tramite carta di identità elettronica (CIE), carta nazionale dei servizi (CNS), firma digitale o tramite webcam). Una volta definito il livello di sicurezza che serve, bisogna proseguire con la scelta del provider. Chi è già cliente di uno di questi provider, avrà una procedura semplificata per ottenete lo Spid.

Dove si usa lo Spid

L’identità digitale serve per accedere a molti servizi della pubblica amministrazione. Facciamo qualche esempio: anagrafe, servizi Inail, Inps, fascicolo sanitario elettronico, Agenzia delle entrate, solo per citare alcuni servizi. È più sicuro di un pin e consente di essere identificati in maniera univoca.

Lo Spid per accedere al sito dell’Inps

Dal primo ottobre 2020 per accedere all’area riservata dal portale, l’Inps non rilascia più il pin come credenziale di accesso ai servizi dell’istituto. Il pin verrà sostituito dallo Spid, il sistema pubblico di identità digitale, che permette di accedere ai servizi on-line della Pubblica amministrazione”. E chi fino ad oggi accede solo col pin? “Il passaggio avverrà gradualmente, come precisato dalle istruzioni fornite con la circolare Inps 17 luglio 2020, n. 87”, che prevede una fase transitoria che si concluderà con la cessazione della validità del codice alfanumerico.

Più affidabilità e sicurezza

Identificarsi con lo Spid garantisce diversi livelli di sicurezza, che possono essere scelti in fase di attivazione, ed è più sicuro di una password alfanumerica. Il primo livello permette di accedere ai servizi online attraverso un nome utente e una password. Il secondo livello permette l’accesso attraverso un nome utente e una password scelta dall’utente, più la generazione di un codice temporaneo di accesso. Il terzo livello, infine, richiede un supporto fisico per l’identificazione. I tempi di rilascio dipendono dall’identity provider: alcuni ci impiegano pochi giorni, per altri l’attesa è quasi infinita. La celerità nell’attivazione dello Spid, quindi, può essere un parametro da tenere in considerazione nel momento in cui si sceglie il provider per farsi rilasciare l’identità digitale.

E-commerce: gli obblighi fiscali per iniziare a vendere online

E-commerce e obblighi fiscali
Fonte: eCommerce B2c in Italia: aumenta il mercato, ma cresce il valore? – Osservatorio eCommerce B2c

In Europa il mercato dell’e-commerce segna un aumento di vendite di prodotti che crescono quattro volte più velocemente delle vendite offline. I dati sono quelli del rapporto Future opportunities in FMCG- e-commerce, di Nielsen e si focalizzano sull’e-grocery, ossia l’e-commerce nel largo consumo, in 34 mercati. Tra le evidenze, c’è quella di un’espansione decisa nei prossimi anni, con un tasso di crescita medio del 18,4 per cento annuo, con le vendite globali che raggiungeranno i 400 miliardi di dollari entro il 2022.

I settori

Gli acquisti online in Italia nel 2019 valgono 31,6 miliardi di euro, guardando i dati relativi dell’Osservatorio eCommerce B2c promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm. Il valore degli acquisti online da smartphone costituisce il 40% dell’e-commerce totale: quest’anno il telefonino diventerà il primo canale per l’e-commerce. L’Arredamento segna la crescita più importante (+30%, 1,7 miliardi di euro), insieme al Food&Grocery (+42%, 1,6 miliardi di euro). I servizi, Turismo e Trasporti, pesano per 10,9 miliardi di euro.

Quali sono i Paesi che vendono di più

Nella classifica dei Paesi che vendono maggiormente online, la Cina si conferma il primo mercato, con oltre mille miliardi di euro. Seguono gli Stati Uniti, con 620 miliardi di euro nel
2018 e poi l’Europa con 600 miliardi di euro, dove primeggiano Francia, Germania e Regno Unito. Più arretrata l’Italia ma in crescita.

Cosa si deve fare, quindi, per iniziare un’attività di e-commerce?

Il primo passo: aprire la partita Iva

Per prima cosa occorre scegliere la forma giuridica con il proprio consulente. La ditta individuale è l’opzione più rapida, oppure si può optare per una società se si è in presenza
di soci. Questa seconda possibilità, però, prevede la costituzione dal notaio.

Scegliere il tipo di attività

Il passo successivo da compiere, una volta definita la forma giuridica, è distinguere il commercio elettronico di prodotti alimentari e non alimentari: il primo comporta più adempimenti. Le comunicazioni/adempimenti (apertura partita Iva, Scia, iscrizione in CCIAA e iscrizione all’Inps) oggi vengono semplificate in un’unica pratica che si chiama COMUNICA. Si può presentare direttamente online alla Camera di commercio tramite un intermediario. Occorre anche attivare un indirizzo di posta certificata, al momento dell’iscrizione in Camera di commercio e una firma digitale, che è diversa dallo Spid (identità digitale).

Occhio alle commissioni

I guadagni possono variare anche in base al canale che si sceglie per vendere. Per questo occorre fare una valutazione approfondita sulle piattaforme più idonee per vendere i propri prodotti (Amazon, Etsy, eBay) e verificare la percentuale di commissioni che vengono trattenute sul prodotto venduto ed eventuale costo fisso richiesto mensilmente o all’iscrizione.

Sempre nell’ottica di massimizzare i guadagni, sarà buona regola passare in rassegna i conti correnti bancari, al fine di individuare quello più economico: costi come il canone mensile o quello sulle transazioni possono influire negativamente sugli incassi.

Le forme di pagamento

Maggiori sono i metodi di pagamento accettati, più alte sono le probabilità di aumentare il numero di clienti. Meglio ampliare quindi i tipi di pagamenti accettati (PayPal, Satispay e, ovviamente, carta di credito), tenendo in considerazione sempre i costi fissi da riconoscere alla piattaforma. Con l’avvento della fatturazione elettronica (non obbligatoria per il regime forfettario), è bene informarsi anche sul software da utilizzare.

Il regime fiscale

La convinzione diffusa è che il regime forfettario sia quello più conveniente. Nella maggior parte dei casi è così, ma non sempre. Se si sceglie di aprire una ditta individuale, quindi, occorre verificare la convenienza. Oltre al regime fiscale ci sarà da considerare anche il costo che si deve sostenere per la gestione della previdenza obbligatoria (Inps). Sia che si scelga la forma individuale o la forma di società, l’imprenditore o l’amministratore dovrà almeno pagare i contributi fissi Inps sul minimale che per il 2020 ammontano a 3.850,52 euro da versare in rate trimestrali, ognuna da 962,64 euro.

Gestione fiscale e contabile. Fare la scelta giusta

Tirando le somme, avviare un’attività di e-commerce non è una passeggiata. Ci sono delle incombenze da rispettare, sia nella fase di costituzione che in quella di gestione della contabilità. Anche per questo motivo, quindi, è bene affidarsi ad un consulente o uno studio contabile che sappia fornire il supporto necessario in ogni fase del processo di avvio della nuova attività. Dalla scelta del regime fiscale, fino alla gestione ordinaria degli aspetti fiscali.

Domiciliazione della sede legale, a cosa serve e come sceglierla

Domiciliazione sede legale Milano Centro
La sede della tua attività in centro a Milano? Con la domiciliazione della sede legale costa meno di quello che immagini. (foto di Constantine H. / Flickr.com)

La sede legale di un’azienda non coincide sempre con la sede operativa. Per prima cosa, cerchiamo di capire in modo chiaro quali sono le differenze tra la sede legale e quella operativa. E perché è spesso vantaggioso scegliere una sede legale in centro città, a differenza di quella operativa che resta più frequentemente dislocata e decentrata.

Sede legale e sede operativa: cosa sono

La sede legale di un’azienda è dove si conservano documenti fiscali e bilanci, dove si progetta e prepara il lavoro e dove si possono anche incontrare i clienti e fare riunioni. In ambito aziendale coincide con la residenza fiscale ma non deve coincidere per forza con la sede operativa che è, invece, il luogo dove effettivamente si lavora e si produce.

Una sede legale facile da raggiungere

Due amici hanno costituito una società Srl, si occupano di fornire servizi informatici. Hanno acquistato un piccolo locale dislocato che funge da sede operativa, dove svolgono la propria attività. I due soci hanno bisogno anche di una sede in zona centrale perché più facile da raggiungere per incontrare i clienti, che disponga di una sala riunioni, in un palazzo d’epoca a due passi dal Duomo. Per questi motivi, quindi, scelgono di domiciliare la sede legale.

Domiciliazione della sede legale: i vantaggi

Il numero di aziende che decidono di optare per la domiciliazione legale è in costante aumento. In questo modo scelgono di avere due indirizzi distinti, uno per la sede legale e l’altro per quella operativa. Decidere di domiciliare la sede legale della propria azienda comporta diversi vantaggi legati ad esigenze operative, economiche e di marketing. Vediamo quali sono e perché è conveniente la domiciliazione della sede legale nel centro di una città come Milano.

La sede operativa, occhio ai costi

Un’attività potrebbe avere bisogno di una sede operativa che offra grandi spazi, al fine di produrre e organizzare il lavoro. I costi dell’affitto dei locali possono diventare proibitivi nel centro di una grande città. Per questo motivo, la maggior parte delle aziende preferisce scegliere la propria sede operativa in periferia oppure, in base al tipo di attività, può ipotizzare di organizzarsi con tante piccole unità produttive più leggere.

La sede legale, meglio in zona centrale

La sede operativa deve essere più ampia e dislocata, per privilegiare l’aspetto produttivo, mentre la sede legale deve rispettare altre caratteristiche. Decidere di domiciliare la sede legale in centro città, ad esempio, consente di sfruttare una zona strategica per il business, usufruendo di un indirizzo in sintonia con brand, potendo contare sul prestigio e la comodità di una zona centrale per incontrare i propri clienti.

Come migliorare la gestione amministrativa

Dalla sede legale dipendono anche le altre attività legate all’azienda, come per esempio la Camera di commercio di riferimento, il Comune al quale richiedere autorizzazioni e il tribunale per eventuali cause civili. Scegliere la domiciliazione della sede legale, tra gli altri vantaggi, offre anche quello di alleggerire le incombenze amministrative, a patto che si punti su un servizio professionale.

Domiciliazione della sede legale: perché sceglierla

Le aziende e società che decidono di avvalersi del servizio di domiciliazione della sede legale, possono usufruire di diversi servizi, a un prezzo ridotto. Quelli offerti da Ellequadra e dedicati alle imprese prevedono, con la domiciliazione della sede legale in Piazza San Sepolcro, a poca distanza dal Duomo, a Milano: l’utilizzo dell’indirizzo nelle comunicazioni, negli atti ufficiali dell’azienda, sul sito internet, nelle presentazioni e brochure e nei documenti societari.

Altro aspetto assolutamente da considerare è la certezza di non perdere neanche una lettera, perché il personale provvedrà a ricevere corrispondenza e documenti importanti che archivierà o inoltrerà con la garanzia della consegna. Lo studio offre anche la gestione fiscale, la sala riunioni, una linea telefonica dedicata e, infine, un ufficio virtuale. A conti fatti, con la domiciliazione legale si hanno meno incombenze e si guadagna molta più tranquillità: il resto del tempo può essere dedicato interamente al proprio business.

Quanto costa il servizio di domiciliazione sede legale?

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Dichiarazione dei redditi e 730, tutte le scadenze 2020

dichiarazione redditi scadenze 730

Siamo ormai ufficialmente entrati nella stagione calda delle dichiarazioni dei redditi. Non c’è scampo, bisogna regolare i rapporti con il Fisco e comunicare quanto abbiamo guadagnato nel 2019, per saldare i conti: chi avrà un credito riceverà il saldo in busta paga, nel caso si disponga di un sostituto d’imposta; diversamente chi si ritroverà a debito, potrà decidere di pagare con l’addebito in busta paga, o anche a rate.

A causa del coronavirus, però, quest’anno le scadenze sono cambiate.

Vediamo quali date è bene cerchiare sul calendario per rispettare i termini di presentazione del modello 730 oppure della dichiarazione dei redditi.

Come cambiano le scadenze fiscali

La scadenza per la presentazione del modello 730 precompilato passa da 23 luglio al 30 settembre 2020. Slitta dal 30 settembre al 10 ottobre il termine ultimo per comunicare al proprio datore di lavoro l’eventuale riduzione del secondo acconto Irpef dovuto. L’acconto dovrà comunque essere versato entro il 15 novembre.

Si tratta di una proroga del termine di scadenza, è possibile ovviamente presentare il modello 730 anche prima: il 30 settembre è il termine ultimo utile, sia che lo si consegni al datore di lavoro sia che si proceda tramite Caf, ma anche se si decide di compilarlo in maniera autonoma direttamente dal sito dell’agenzia delle Entrate.

Le scadenze per i Caf

Una volta consegnata al Caf la documentazione per la compilazione del modello 730, dal mese successivo si può cominciare a ricevere il rimborso in busta paga, in caso di un credito con il Fisco, o farsi trattenere le imposte dovute, per chi si trova invece a debito.

È evidente che chi deve ricevere dei soldi dall’agenzia delle Entrate, è incentivato a presentare la dichiarazione il prima possibile. Chi deve invece mettere mano al portafoglio, complice anche la crisi da Covid-19, potrà aspettare settembre per trasmettere il 730. In quest’ultimo caso è bene valutare la possibilità di rateizzare il debito che viene limitata con la presentazione in prossimità della scadenza.

Le scadenze per la dichiarazione dei redditi

I contribuenti che non hanno i requisiti per presentare il 730, ossia non hanno un reddito da lavoro dipendente o redditi assimilati, devono presentare la dichiarazione dei redditi ordinaria.

Si tratta di contribuenti che nel 2019 hanno avuto redditi di impresa o redditi da lavoro autonomo per i quali serve la partita Iva e redditi “diversi” non compresi tra quelli inseribili nel modello 730.

La scadenza dei versamenti è attualmente fissata al 30 giugno 2020, anche se da più parti si auspica una proroga almeno a fine settembre. La scadenza per la presentazione telematica del modello è fissata al 30 novembre 2020.

In caso di errori, chi è responsabile?

È il terrore di ogni contribuente: sbagliare qualcosa nella dichiarazione dei redditi e ricevere una lettera dell’Agenzia. Fino all’anno scorso, in caso di incongruenze o omissioni, l’agenzia delle Entrate scriveva direttamente al contribuente, anche se il modello era stato presentato da un Caf o un commercialista.

Il nuovo modello 730 precompilato con i dati dell’agenzia delle Entrate introduce una novità: la responsabilità per gli errori nella compilazione del 730 ricade sugli intermediari.

Il Caf o il commercialista che presta assistenza deve apporre il “visto di conformità” sul modello 730, e così diventa responsabile in caso di errori o dichiarazioni errate. L’agenzia delle Entrate, quindi, si rivolgerà direttamente al Caf o al commercialista se dovesse riscontrare delle difformità.

Resta la possibilità, in caso di errori, da parte del Caf, del commercialista e del contribuente, di presentare un 730 integrativo, entro il 25 ottobre. In questo caso, il Caf o il professionista dovrà pagare la sanzione (ridotta ad 1/8 con il ravvedimento operoso), mentre gli interessi di mora restano a carico del contribuente.

Decreto Rilancio: le misure a sostegno di liberi professionisti, partite Iva e imprese

Milano, Duomo

Dopo il decreto Cura Italia e il decreto liquidità, arriva finalmente il decreto Rilancio. Si tratta di un pacchetto di misure da 55 miliardi di indebitamento e 155 miliardi in termini di saldo netto da finanziare. Un testo omnibus, con più di 250 articoli, che rifinanzia molte delle misure del Cura Italia, ma introduce anche nuovi aiuti per famiglie, lavoratori e aziende per affrontare la crisi, a seguito della chiusura prolungata causata dal coronavirus.

Bonus 600 euro per partite Iva

Per il mese di aprile, come già avvenuto a marzo, i 600 euro vanno a professionisti non iscritti agli ordini, co.co.co in gestione separata, artigiani, commercianti, coltivatori diretti, stagionali dei settori del turismo e degli stabilimenti termali, lavoratori del settore spettacolo e lavoratori agricoli. Chi lo ha già ottenuto a marzo, se lo ritroverà accreditato in automatico per il mese di aprile.

A maggio, il bonus può salire fino a 1.000 euro, ma non per tutti. Per richiederlo bisogna rispettare determinate condizioni: i titolari di partita Iva, ancora attiva il 19 maggio, devono aver conseguito un fatturato e dei corrispettivi nel mese di aprile 2020 inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019. Il contributo spetta anche in assenza del calo di fatturato per chi ha iniziato l’attività a partire dal 1 gennaio 2019.

I professionisti iscritti a ordini professionali, come per il mese di marzo, dovranno rivolgersi alla propria cassa di previdenza per ottenere il bonus per i mesi di aprile e maggio, attingendo dal reddito di ultima istanza, che viene potenziato di 850 milioni du euro, arrivando così a 1.150 milioni di euro. La cifra del bonus sarà resa nota da un successivo decreto del ministro del Lavoro, insieme a quello dell’Economia, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento.

Stop ai licenziamenti e cassa in deroga più veloce

Viene prorogato il blocco dei licenziamenti per altri tre mesi. Sospese anche le procedure dei licenziamenti collettivi e individuali per motivo oggettivo in corso. La procedura per la Cassa in deroga diventa più veloce, con la possibilità per il datore di lavoro di rivolgersi direttamente all’Inps che erogherà un anticipo dell’assegno del 40 per cento, entro 15 giorni dall’arrivo della richiesta. La cassa integrazione per l’emergenza coronavirus può essere utilizzata dai datori di lavoro per una durata massima di nove settimane, per il periodo dal 23 febbraio al 31 agosto 2020.

Cancellata l’Irap per le aziende e autonomi

Il decreto Rilancio prevede la cancellazione del saldo e acconto Irap per tutti fino a 250 milioni di fatturato. La cancellazione della rata di giugno (saldo e acconto) riguarda tutte le imprese fino a 250 milioni di euro di fatturato e i lavoratori autonomi con un corrispondente volume di compensi. La norma prevede l’esenzione del versamento del saldo Irap dovuta per il 2019 e della prima rata, pari al 40 per cento, dell’acconto dell’Irap dovuta per il 2020 dalle imprese con un volume di ricavi compresi tra 0 e 250 milioni e dai lavoratori autonomi con gli stessi compensi. Resta l’obbligo di versamento degli acconti per il periodo di imposta 2019.

Indennizzi a fondo perduto per le piccole imprese (ma non per i professionisti)

Tra le misure di sostegno per le piccole imprese, compresi i lavoratori autonomi titolari di partita Iva o di reddito agrario, sono previsti contributi a fondo perduto con una doppia condizione di accesso e rispettando una tempistica precisa: per ottenere l’indennizzo i soggetti interessati devono presentare un’istanza, esclusivamente online, all’Agenzia delle Entrate entro 60 giorni dall’avvio della procedura telematica per la trasmissione delle domande. Il provvedimento contenuto nel Dl Rilancio prevede un giro d’affari annuo nel 2019 inferiore ai 5 milioni di euro e una perdita del fatturato o dei compensi, tra aprile 2020 e lo stesso mese del 2019, di almeno un terzo.
L’ammontare dell’indennizzo viene calcolato applicando una percentuale alla differenza di fatturato registrata che sarà del 20% per i soggetti che nel 2019 hanno registrato ricavi o compensi al di sotto dei 400mila euro; del 15% sopra i 400mila euro e fino a un milione di euro; 10% oltre un milione di euro e fino a 5 milioni. Sono esclusi dai contributi a fondo perduto i professionisti ai quali spetta l’indennizzo da 600 euro dell’Inps, o quello erogato dalla propria cassa di previdenza professionale.

Taglio in bolletta per le Pmi e bonus affitto

Il decreto Rilancio prevede sconti in bolletta per tre mesi per le Pmi. Il taglio si attua con una rimodulazione delle componenti fisse della bolletta, come i costi di trasporto e gestione del contatore e gli oneri generali, per tutti i clienti non domestici alimentati in bassa tensione. Tra le misure di sostegno previste del decreto, quella che riguarda il bonus affitti prevede un credito d’imposta del 60% sul canone d’affitto che si estende a tutte le locazioni commerciali, e sarà riconosciuto per i mesi di marzo, aprile e maggio 2020. I vari crediti di imposta introdotti dal Dl Rilancio, tra cui il nuovo ecobonus del 110%, possono essere utilizzati dal beneficiario in compensazione, ossia ceduti ad altri soggetti in caso di incapienza o altre difficoltà nell’utilizzo del rimborso fiscale.

Il bonus affitto, quindi, potrà essere ceduto anche alle banche, consentendo così la trasformazione del credito fiscale in un rimborso monetario. Resta ancora da chiarire se sarà possibile cedere il credito al proprietario dell’immobile: spetterà all’agenzia delle Entrate definire i soggetti ai quali sarà possibile cedere il bonus affitto del 60%. Il credito di imposta, in caso di contratti di servizi a prestazioni complesse o di affitto d’azienda”, riporta il testo del Dl Rilancio, “comprensivi di almeno un immobile a uso non abitativo destinato allo svolgimento dell’attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, di interesse turistico o all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo, spetta nella misura del 30% dei relativi canoni”.

Rinvio delle tasse

I versamenti delle ritenute, dell’Iva e dei contributi già rinviati con il decreto Cura Italia e con il decreto Liquidità, vengono differiti al 16 settembre. In via generale, i versamenti di febbraio potevano essere prorogati sulla base delle condizioni soggettive del contribuente, mentre quelli di marzo e di aprile potevano essere rinviati in presenza di un calo di fatturato, per le aziende che rientrano tra le filiere maggiormente colpite o sono nelle province dichiarate zona rossa dall’inizio della pandemia. A settembre si potrà pagare in un’unica soluzione, oppure in quattro rate di pari importo. I pignoramenti sugli stipendi e pensioni sono sospesi fino al 31 agosto 2020 ed è prevista nelle norme del Dl Rilancio anche la sospensione dei pagamenti per avvisi bonari e di accertamento che potranno essere effettuati entro il 16 settembre per i pagamenti in scadenza tra l’8 marzo e il 31 maggio.

Reddito di emergenza

Il sussidio è al momento previsto per due mesi e varia da 400 agli 800 euro, in base il numero di persone del nucleo familiare. Per ottenere il reddito di emergenza bisogna presentare la domanda all’Inps entro giugno, attraverso un modulo online, disponibile sul sito dell’Istituto di previdenza, oppure attraverso Caf e patronati. I requisiti per avere accesso al reddito comprendono la residenza in Italia, l’Isee inferiore a 15mila euro e un reddito familiare ad aprile 2020 inferiore al sussidio che si otterrebbe, diversamente si ha diritto solo all’integrazione fino al raggiungimento della soglia.

Smart working

Nel decreto è prevista la possibilità per i genitori dipendenti del settore privato, con almeno un figlio minore di 14 anni, di svolgere lavoro agile da remoto fino al termine dello stato di emergenza. Ci sono due condizioni da rispettare: in famiglia non deve esserci un altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito e nel nucleo familiare non deve esserci un genitore non lavoratore.

Bonus mobilità

Il contributo arriva fino a 500 euro e ha valore retroattivo per gli acquisti effettuati dal 4 maggio. Il bonus si può spendere per comprare biciclette, anche con pedalata assistita, monopattini anche elettrici, segway e hoverboard, così come per i servizi di sharing mobility. Il bonus si può utilizzare anche per comprare mezzi usati, ma non per acquistare gli accessori. I destinatari sono i residenti maggiorenni dei Comuni con almeno 50mila abitanti, capoluoghi di Provincia, Regione e Città metropolitane. Il ministero dei Trasporti metterà a disposizione un sito web, o una app, a cui si potrà accedere tramite Spid (identità digitale), che dovrà essere operativo entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto in Gazzetta. Per ottenere il bonus bisogna conservare il giustificativo di spesa (fattura, non basta lo scontrino) e allegarlo all’istanza da presentare via web. Quando sarà possibile accedere al portale, è previsto lo sconto diretto da parte del fornitore, sulla base di un buono digitale di spesa, da consegnare al rivenditore per avere immediatamente lo sconto, che arriva fino al 60% della spesa, per un massino di 500 euro.

Il testo completo del decreto Rilancio in .pdf: Gazzetta Ufficilale

Prestiti con garanzia dello Stato: chi può richiederli e come fare

Prestiti con garanzia dello Stato: chi può richiederli e come fare
L’Italia prova a tornare alla normalità, con la fine del lockdown e la progressiva riapertura delle attività produttive. Il blocco causato dal coronavirus, però, sta avendo pesanti ripercussioni sull’economia e sul lavoro. Il governo è intervenuto con provvedimenti e misure contenute principalmente in tre decreti: il decreto Cura Italia, con misure a sostegno dei redditi delle famiglie e lavoratori, il Decreto liquidità imprese e il Decreto Rilancio, l’ultimo approvato, atteso per aprile ma arrivato a metà maggio, con ulteriori misure di sostegno ai lavoratori e aziende. Il decreto imprese prevede 200 miliardi di euro per il mercato interno e altri 200 miliardi per l’export. Il governo, quindi, mette a disposizione 400 miliardi di euro per supportare le imprese.

Decreto imprese: cosa prevede

Tra le misure previste, quella più significativa riguarda nuovi finanziamenti alle imprese, che potranno richiedere dei prestiti con la garanzia dello Stato. Nel decreto imprese, pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’8 aprile, è prevista anche la sospensione di tasse e contributi (per i mesi di aprile e maggio) e golden power rafforzato. Nelle intenzioni del governo c’è la volontà di semplificare le procedure per accedere ai finanziamenti, grazie al Fondo centrale di garanzia, con l’utilizzo esteso anche alle imprese fino a 499 dipendenti. In Fondo agirà su tre linee principali:

Garanzia al 100% per i prestiti di importo non superiore al 25% dei ricavi fino a un massimo di 25mila euro, senza alcune valutazione del merito del credito. In questo caso le banche potranno erogare i prestiti senza attendere l’ok del Fondo di Garanzia;
Garanzia al 100% (di cui 90% Stato e 10% Confidi) per i prestiti di importo non superiore al 25% dei ricavi fino a un massimo di 800mila euro, senza valutazione andamentale;
Garanzia al 90% per i prestiti fino a 5 milioni di euro, senza valutazione andamentale.

Per le grandi imprese, infine, interviene la garanzia di Sace, società che fa capo a Cassa Depositi e Prestiti.

La garanzia di Sace per imprese medio grandi

Per le imprese medio grandi, comprese le Pmi, l’importo massimo di garanzie sarà pari a 200 miliardi di euro. La soglia del prestito è pari al 25% del fatturato 2019 e la garanzia copre il 90% per imprese con più di 5mila dipendenti e fatturato tra 1,5 e 5 miliardi; il 70% per imprese con fatturato oltre i 5 miliardi, con un tasso di interesse compreso tra lo 0,25 e lo 0,50%.

La garanzia per le Pmi

A poter beneficiare della garanzia totale a copertura di nuovi finanziamenti saranno le sole Pmi con ricavi fino a 3,2 milioni di euro, e per prestiti fino al minor importo tra il 25% del fatturato e 800mila euro. Il 100% di garanzia si otterrà solo in forma mista, con il 90% garantito dallo Stato e il 10% da Confidi, senza istruttoria. La garanzia totale è prevista anche per prestiti concessi alle Pmi con fatturato fino a 800mila euro e fino al 15% del fatturato ma in questo caso è prevista l’istruttoria del Fondo. In tutte le altre situazioni che non abbiamo descritto, fino a un importo massimo garantibile di 5 milioni di euro, la garanzia sarà solo entro il 90%.

Partite Iva, prestiti automatici fino a 25mila euro

Per le Pmi e le partite Iva (persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni) sono previsti prestiti automatici fino a 25mila euro, in tempi rapidi. Il finanziamento non più superare il 25% del fatturato dell’ultimo bilancio, con la restituzione del prestito in 6 anni, iniziando a rimborsare tra 18-24 mesi.

I prestiti per le partite Iva forfettarie

La situazione dei micro-finanziamenti per le partite Iva forfettarie è un po’ diversa. Per chi ha scelto la flat tax al 15%, infatti, vale sempre il limite del 25% sui compensi. In questo caso, però, sul tetto massimo di 65mila euro, come previsto dalla normativa sul regime forfettario. Facciamo un esempio, per capire meglio. Un artigiano che dichiara 65mila euro, il caso limite e anche meno frequente, potrà richiedere un prestito pari al 25% dei compensi (o ricavi), quindi 16.250 euro. Nel caso, invece, di un reddito di 30mila euro dichiarati nel 2019, l’importo del prestito arriverebbe a 7mila e 500 euro. Per raggiungere quota 25mila euro, quindi, bisognerebbe avere un fatturato di almeno 100mila euro, oltre il limite del forfettario. Da sottolineare anche che la banca, prima di erogare il prestito, può fare la sua valutazione, allungando quindi i tempi. Per i “mini-prestiti”, fino a 25mila euro, quella che non è prevista è la valutazione del Fondo.

Come richiedere il prestito

Come devono fare i lavoratori autonomi, le partite Iva o le piccole imprese che vogliono chiedere il finanziamento fino a 25mila euro? Occorre scaricare il modulo dal sito del Ministero dello sviluppo economico (https://www.fondidigaranzia.it/normativa-e-modulistica/modulistica/), da inviare alle banche o ai consorzi fidi per avviare l’iter. Il modulo può essere inviato via mail, anche senza una posta certificata, alle banche che dovranno, a loro volta, richiedere la garanzia statale.

Link decreto liquidità imprese: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/04/08/94/sg/pdf